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Advertising

Advertising: 6 metodi per sviluppare la creatività

20 Agosto 2021

Si sente spesso parlare della creatività come di una dote innata, strettamente legata all’arte e alla libertà di pensiero.
Tuttavia, come sa bene chi si occupa di advertising, la creatività può essere sviluppata, organizzata e incanalata.

Esperimenti sulla creatività

Nel 1999, un team di ricercatori israeliani condusse un esperimento sulla creatività nel settore pubblicitario. Analizzando un campione di 200 pubblicità che in quell’anno avevano riscosso successo, riuscirono a classificarle all’interno di 6 modelli possibili, con una rispondenza dell’89%. In seguito, analizzarono 200 pubblicità che non avevano riscosso successo, accorgendosi che solo il 2% di esse corrispondeva a uno dei 6 modelli di creatività individuati.
L’esperimento venne criticato per la sua metodologia: partire da un effetto per trovare la causa non ne avvalorava la validità scientifica.
Gli scienziati condussero dunque un nuovo esperimento, chiedendo a tre gruppi di individui estranei all’ambito pubblicitario di ideare delle campagne creative, che sarebbero poi state mostrate a gruppi di consumatori:

  • Il primo gruppo di candidati non fu addestrato in nessun modo: le loro pubblicità vennero considerate fastidiose.
  • Il secondo gruppo fu istruito per due ore sulla tecnica di associazione libera di idee e brainstorming: le loro pubblicità vennero considerate meno fastidiose, ma non creative.
  • Il terzo gruppo fu addestrato sulle 6 tecniche individuate grazie al precedente esperimento: le pubblicità furono considerate il 50% più creative di quelle viste in precedenza.

I modelli furono quindi considerati validi, e vennero riportati in una pubblicazione scientifica dal titolo The Fundamental Templates of Quality Ads, ad opera dei ricercatori Jacob Goldenberg, David Mazursky e Sorin Solomon.
Quali sono, quindi, questi 6 metodi scientificamente provati?
Scopriamolo insieme!

6 modelli per sviluppare la creatività

1. Analogia visiva

Il primo modello si basa sull’accostamento fra la forma del prodotto e un simbolo che rappresenta il messaggio che il brand vuole trasmettere.
Ad esempio, all’alba della vittoria dell’Italia agli Europei di Calcio 2020, Birra Peroni associa la forma della propria bottiglia a un abbraccio fra un tifoso italiano e uno inglese: la birra unisce, perfino in questa circostanza.

2. Situazioni estreme

Il secondo modello sfrutta contesti assurdi e irrealistici per valorizzare i punti di forza del prodotto. Ad esempio, questo ad degli anni ‘90 gioca sull’alto livello di coinvolgimento garantito da un videogioco come Mortal Kombat.

Un’altra situazione paradossale è quella rappresentata da quest’ad dei coltelli WMF, talmente affilati da sminuzzare perfino il tagliere.

3. Le conseguenze estreme dell’utilizzo o meno del prodotto

Questo modello mostra le estreme conseguenze della presenza o dell’assenza del prodotto nella vita del consumatore.
Si gioca ancora con il paradossale, come in quest’ad di Aquafresh in cui i denti lavati con il noto dentifricio sono così smaglianti da brillare al buio, e quindi necessitano di una mascherina per la notte.

È interessante notare come l’estrema efficacia del prodotto non venga sempre associata a conseguenze positive. Pensiamo ad esempio a questo ad di Bose: le cuffie prodotte dall’azienda trascinano il consumatore in una bolla insonorizzata, impedendogli di accorgersi dei pericoli che lo circondano.

4. Il confronto

In questo modello, il prodotto è posto in contrasto con un elemento molto diverso da esso: normalmente non ci sarebbe gara, ma le caratteristiche del prodotto pubblicizzato sono talmente virtuose da prevalere nel confronto. Lo vediamo in quest’ad di Ford in cui l’automobile del brand riesce a trascinare una nave sul ghiaccio:

Il confronto non avviene per forza sempre fra due prodotti, come vediamo in quest’ad di Arena in cui è l’uomo (che indossa il costume del brand) a rincorrere lo squalo:

5. Esperimento interattivo

Il modello invita il consumatore a prendere parte all’ad: la sua partecipazione, spesso mediante un semplice gesto, mette in luce il valore del prodotto o servizio pubblicizzato.
L’esperimento di DHL, ad esempio, mette in luce l’efficienza della sua consegna a diversi destinatari: è semplice e veloce come girare una pagina (o scorrere un dito sul tablet)!

6. Alterazione dimensionale, spaziale o temporale

Questo modello gioca con i parametri di spazio e tempo in relazione al prodotto pubblicizzato.
L’ad di Rubik, ad esempio, immagina che il consumatore abbia passato oltre 25 anni cercando di risolvere il suo enigma:

La dimensione spaziale invece modifica le dimensioni del prodotto o servizio, andando a creare situazioni paradossali, come quella dell’ad di Scotch:

Noi di Siks mettiamo a frutto la nostra creatività per la comunicazione del tuo brand, contattaci!

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Filed Under: Advertising, Creatività

Social storytelling: 4 tecniche per scrivere post efficaci

16 Giugno 2021

Quando si pensa allo storytelling, si immaginano narrazioni epiche e grandiose, che accompagnano spot premiatissimi e campagne rivoluzionarie. Tuttavia, i principi della narrazione sono facilmente applicabili anche alla scrittura di un post su Facebook o su Instagram.

Ecco 4 semplici tecniche di storytelling da utilizzare per la tua comunicazione sui social!

La formula di Dave Lieber

Partiamo dalla formula di storytelling condivisa da Dave Lieber nel TED Talk The power of storytelling to change the world. Lo schema, composto da da tre fasi, è un classico della narrazione che caratterizza numerosi romanzi e film, fra cui la maggior parte dei classici d’animazione Disney:

Presentazione del personaggio.
La narrazione catapulta il personaggio nel punto più basso della sua storia, quello che Walt Disney definiva the darkest hour (“l’ora più buia”).
La narrazione culmina in un colpo di scena che conduce il personaggio verso il suo lieto fine.

Lo vediamo bene in questo post di Airbnb, che recita: “Jane è stata una contabile per 20 anni. Durante la recessione, ha perso il suo lavoro quando la sua azienda è andata in bancarotta, e per mesi non è riuscita a trovare un lavoro. Quella che è cominciata come una necessità per stare a galla, si è trasformata in un nuovo modo di vivere. Airbnb l’ha connessa con il mondo e le ha dato l’ispirazione per diventare una guida turistica, in modo da condividere le bellezze della sua città con visitatori da tutto il mondo”.

Presentare Jane nel punto più basso della sua storia permette al consumatore di empatizzare con il personaggio in pochissime battute: il fatto che il suo lieto fine sia direttamente collegato al prodotto o servizio pubblicizzato conferisce valore al messaggio del brand, rafforzandolo.

Before – After – Bridge

Si parte introducendo il problema che si vuole risolvere (Before), si passa a immaginare una situazione in cui il problema è stato risolto (After) e infine si spiega com’è possibile arrivarci attraverso il proprio prodotto o servizio (Bridge).
Pensiamo a un esempio, il post di quella che potrebbe essere una marca di cibi surgelati: “Cucinare richiede tempo. Immagina se fosse possibile preparare un intero pasto in soli 5 minuti. Con i nostri prodotti, porti in tavola tutto il gusto della cucina italiana in tempo record”.
L’incipit del post mette in luce un problema realmente percepito dal consumatore (non avere il tempo di cucinare), a cui segue la descrizione di un mondo ideale (quello in cui è possibile preparare un intero pasto in 5 minuti), che appare quasi utopico: è proprio in questo momento che il brand sferra il suo colpo da maestro, presentando il suo prodotto o servizio come la “bacchetta magica” che permette al prodigio di compiersi, trasformando l’utopia in realtà.
Questa tecnica funziona anche perfettamente anche nelle introduzioni degli articoli dei blog aziendali e dei testi delle campagne di email marketing.

Star – Chain – Hook

In questa terza tecnica, si comincia attirando l’attenzione del pubblico con un incipit positivo, che costituisce la tua promessa finale, la “stella” da raggiungere (Star), poi si presenta una serie di fatti che testimoniano la credibilità e rafforzano il valore della tua promessa, mettendone in luce tutti i vantaggi in una catena (Chain) che, di anello in anello, trascina il lettore verso una call to action che lo cattura (Hook), spingendolo ad acquistare il tuo prodotto o servizio, al fine di raggiungere il suo obiettivo.

Immaginiamo un esempio, dividendolo in tre parti:
1. Impara una lingua straniera in 30 giorni, direttamente a casa tua (Star, la promessa finale).
2. Oltre 10.000 studenti lo stanno facendo. Sarai in diretto contatto con tre diversi insegnanti madrelingua. Oltre alla lezioni, potrai godere di quattro ore di conversazione extra incluse nel prezzo (Chain, la serie di vantaggi a sostegno della promessa).
3. Prenota ora! (Hook, la call to action finale, che si lega al prodotto o servizio che stai promuovendo).

Problem – Agitate – Solve

L’ultima tecnica è abbastanza simile a Before-After-Bridge, ma in questo caso abbiamo un problema da introdurre (Problem) e una tensione da far crescere (Agitate) fino alla sua risoluzione (Solve).
Nell’esempio riportato, abbiamo la presentazione di un problema molto comune (“Le videochiamate non sono sempre divertenti”), un elenco crescente di disagi che contribuiscono al problema (“Rumori di sottofondo che distraggono, immagini video che non compaiono, e una pessima connessione”) e infine un sospiro di sollievo finale, con l’introduzione del prodotto o servizio in grado di risolvere quel problema (“A meno che tu non stia usando Zoom”).

Vuoi consigli su come utilizzare lo storytelling per la tua comunicazione social? Contattaci.

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Filed Under: Advertising, Social Media

Strategia STOP: Soluzione, Tempo, Omnicanalità, Partecipazione

9 Giugno 2021

Probabilmente conoscete già la regola delle 4P, elaborata da Jerome McCarthy nel 1960. Si tratta della strategia di marketing più classica, basata su Product (Prodotto), Price (Prezzo), Place (Punto vendita) e Promotion (Promozione).
Le 4P hanno dato vita al marketing mix, quella combinazione di variabili (o leve decisionali) che permettono ad un’azienda di mettere in atto una strategia di successo. Negli ultimi 60 anni abbiamo assistito a diverse varianti di questo mix, dalle 7P degli anni ‘90 alle 4C, che mettono al centro il cliente.
Oggi ci soffermiamo sullo schema recentemente proposto da Russ Klein, CEO dell’American Marketing Association, che si contrappone direttamente all’utilizzo delle 4P con una nuova strategia denominata STOP. Si tratta di un acronimo che comprende quattro concetti fondamentali, volti a sostituire le 4P: Solution (Soluzione), Time (Tempo), Omnichannel (Omnicanalità), Participation (Partecipazione).

Dal Prodotto alla Soluzione

“Nessuno vuole il tuo prodotto! Tutti vogliono una soluzione”, spiega Klein senza mezze parole. La prima P non è più così importante: tutto quello che i consumatori vogliono è una soluzione ai loro problemi. Anziché puntare sul prodotto, concentrati sul valore aggiunto che può portare nelle loro vite. Anziché decantarne le doti, dimostra quanto sia utile per i tuoi consumatori. La nostra società ha raggiunto un livello di benessere tale per cui le scelte di acquisto dei consumatori, di fronte ad un’offerta che supera di gran lunga la domanda, non sono più influenzate esclusivamente dalle caratteristiche intrinseche del prodotto o del servizio. Al centro di tutto c’è l’esperienza del cliente, alla ricerca di risposte semplici ai suoi problemi e ai suoi bisogni. Non a caso, Klein parla di experience design e spiega: “Henry Ford ha pensato a come rivoluzionare il concetto di viaggio, non a come costruire macchine”. Insomma: se un prodotto assolve al suo scopo (sia esso funzionale o emozionale), ha successo. Tutto il resto sono chiacchiere.

Dal Prezzo al Tempo

Il tempo è denaro, si dice. Ed è vero oggi più che mai. Nell’era del “tutto e subito”, la discriminante non è più il prezzo: il consumatore è disposto a pagare di più per un prodotto o un servizio che risolva il suo problema in modo rapido. Le persone vogliono risparmiare tempo ed energie, per questo cercano soluzioni semplici e veloci!
Se sappiamo che non sarà possibile fornire un prodotto o servizio in tempo breve, è sempre meglio comunicare in anticipo quanto tempo ci vorrà, in modo da non far percepire alcuna “perdita di tempo” da parte del cliente.

Dal Punto Vendita all’Omnicanalità

Considerare il Punto Vendita come uno step fondamentale di ogni strategia di marketing suona a dir poco anacronistico, nel 2021.
Oggi la terza P, che in inglese si riferiva al luogo (Place) in cui avviene la vendita, non può che riversarsi in una pluralità di luoghi, soprattutto virtuali. La customer journey si muove continuamente fra online e offline, tanto che un cliente, al negozio, può mettersi a cercare informazioni su internet e, un secondo più tardi, chiedere al commesso; poi tornare a casa, acquistare il prodotto online e passare a ritirarlo al punto vendita. Risulta quindi fondamentale essere presenti sul territorio e in rete (dal sito ai social, dal desktop al mobile), integrando tutti i canali a nostra disposizione.

Dalla Promozione alla Partecipazione

Oggi non si può più parlare di Promozione nel senso classico del termine: la comunicazione unidirezionale, “top down”, non funziona più. A funzionare è invece una comunicazione bidirezionale in cui il brand si mette allo stesso livello del consumatore e ne incoraggia la partecipazione. I social sono la piattaforma eletta per questo tipo di interazione: l’aveva intuito Chiquita oltre 10 anni fa con una campagna che, oltre a usufruire del nascente Facebook, metteva da parte il prodotto per concentrarsi su valori condivisi con una nuova fascia di potenziali clienti. “I consumatori non vogliono solo comprare, vogliono sentirsi compresi”, conclude Klein, sognando un mondo in cui “il marketing ha meno a che fare con la transazione economica e più che fare con il senso di appartenenza”.

Strategia STOP? Chiedi a noi!

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Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

Presenza e rilevanza nel marketing, i casi Renault e Chiquita

26 Maggio 2021

Rob Walker sostiene che le condizioni che rendono possibile il dialogo fra consumatore e oggetto di consumo siano la salienza e la rilevanza.
Di cosa si tratta?
Scopriamolo insieme prendendo in considerazione due case studies!

Salienza o rilevanza?

Per salienza si intende la conoscenza e la familiarità nei confronti del prodotto e del brand, che si ottiene attraverso la presenza nei media e, quindi, nella mente delle persone. La salienza passa, storicamente, per la ripetizione, che caratterizza oggi solo i più bassi esempi di comunicazione (pensiamo alle televendite).
Oggi, per imprimersi nella mente, e soprattutto nel cuore, dei consumatori, non basta essere fisicamente presenti: qui entra in campo la rilevanza.

Solo presenza, senza rilevanza: il caso Renault

Prendiamo in considerazione il caso di Renault, che negli anni ‘00 lancia una campagna a partire da una fase virale, basata sul creare curiosità intorno a un simbolo misterioso, che compariva ovunque (in tv, per strada, in rete, sui giornali), senza alcuna spiegazione.

Il passaparola funzionò molto bene: il simbolo, dal sapore tribale e quindi facilmente riconducibile al concetto di legame comunitario, portò molti ad immaginare che si trattasse di un nuovo movimento politico estremista, magari legato ai no-global. Nella fase successiva della campagna, al simbolo si unì un indirizzo internet a cui collegarsi, community-c.com.
Gli utenti si collegarono in massa alla community, solo per rimanere profondamente delusi nello scoprire che si trattava di un sito ludico dedicato ad un’auto, la Renault Clio.

La campagna si sarebbe dovuta basare sul fatto che “le sensazioni provate a bordo di una Clio sono un’esperienza unica, in grado di creare complicità fra tutti quelli che hanno vissuto la stessa esperienza, una sorta di sentimento comunitario”: peccato che, ad unire queste persone, era l’ideale quasi anarchico a cui il misterioso simbolo sembrava rimandare, non certo la passione per l’auto.

Renault ha quindi saputo essere presente, ma non rilevante, compiendo l’errore di pensare che ogni comunità fosse unita dagli stessi valori, per cui “una vale l’altra”. Niente di più sbagliato, tanto che nessuno è rimasto soddisfatto da quest’operazione: da un lato gli utenti che si sono collegati alla piattaforma si sono sentiti raggirati da quella che, ai loro occhi, è apparsa come un’operazione meramente commerciale, dall’altro le vere comunità online di appassionati di Clio si sono risentite nel non essere state prese in considerazione dall’azienda. Il tentativo di creare una “Clio Community” attorno alla campagna si è rivelato, dunque, fallimentare.

Presenza e rilevanza: il caso di Chiquita

Il bollino blu del marchio di banane Chiquita, introdotto in Europa nel 1963, diventa presto simbolo di attenta selezione e qualità superiore, come esplicitato dal fortunato claim “10 e lode”.

Ai fini della nostra analisi, vogliamo parlare de “Il mio 10 e lode”, un progetto di comunicazione integrata del 2007 che si poneva un obiettivo ambizioso: trasferire i valori di Chiquita a un gruppo di persone che non acquistavano direttamente i suoi prodotti, ossia gli adolescenti e i giovani adulti.

Come essere rilevanti per questa fascia di pubblico?
Spostando il focus dal prodotto ai giovani consumatori, rigirando il claim a loro favore: “Qual è il vostro 10 e lode?”. È questa la domanda che il marchio ha posto ai ragazzi, abbandonando l’approccio top-down (azienda-consumatore) in favore di una relazione biunivoca, non invasiva, che stimolasse l’interazione con il marchio.

Vennero distribuiti migliaia di bollini blu che non riportavano direttamente il nome del brand, anche se l’associazione visiva era evidente.
L’invito era “Il bollino blu mettilo tu”: in questo modo, Chiquita ha trasferito il suo potere alle persone, permettendo che fossero loro a decretare cosa fosse di qualità nella loro vita, anziché subire un’idea imposta da terzi.
Chi apponeva il bollino era invitato a scattare foto e inviarle a Chiquita, che le ripubblicava in una pagina apposita sul proprio sito web.

In nessun momento della campagna venne mai incentivato l’acquisto del prodotto, ma sempre e solo la partecipazione all’iniziativa, che è stata fondamentale per creare un senso di comunità e di aderenza al valore più profondo del marchio.
Grazie a questa campagna, Chiquita ha saputo rispondere sia alle esigenze di presenza, sia a quelle di rilevanza, resistendo alla tentazione di creare associazioni dirette con il brand e/o forzare l’acquisto del prodotto.

Mettendo in luce la rilevanza del concetto di qualità nella vita quotidiana dei propri consumatori, Chiquita ha saputo instaurare con loro una relazione profonda. La campagna ha fatto scuola, anticipando l’importanza che gli user generated content hanno assunto oggi nella comunicazione social.

Vuoi sapere come strutturare una campagna rilevante per il tuo pubblico? Contattaci.

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Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

Ingmar Bergman e gli spot sul sapone, fra cinema e advertising

21 Aprile 2021

Nel campo dell’advertising, la forza di un grande creativo sta nel fatto di riuscire a esprimersi appieno in ogni circostanza, trovando il giusto compromesso fra arte e pubblicità, creatività ed esigenze commerciali.
Un esempio virtuoso è costituito dal grande regista Ingmar Bergman, che all’inizio degli anni ‘50 si dedica a una serie di spot per una marca di saponi svedese.

Bergman e la pubblicità: com’è successo?

È il 1951: Ingmar Bergman ha 33 anni, sei bambini e tre famiglie da mantenere, mentre nell’industria cinematografica svedese impazza lo sciopero, per protestare contro le alte tasse del governo sull’intrattenimento.
Il regista, che ha un disperato bisogno di soldi, accetta la proposta di dirigere una serie di nove spot di poco più di un minuto l’uno. Il brief del cliente è semplice: ogni episodio deve illustrare l’elemento di novità del sapone antibatterico Bris, il primo con proprietà deodoranti, attraverso lo slogan “fri, frisk, frasche”.

Nonostante la collaborazione nasca per scopi meramente economici, Bergman saprà sfruttare l’occasione per sperimentare qualcosa di nuovo.

Gli spot di Ingmar Bergman per il sapone Bris

Tutti lo conoscono per la morte che gioca a scacchi e per film densi di significato e mal di vivere, incentrati su temi come i rapporti di coppia, la malattia, l’esistenza di Dio e il suo silenzio.
Sorprende, quindi, che gli spot da lui realizzati siano leggeri, fanciulleschi e spensierati: in uno di questi il sapone è inventato in sogno e viene considerato degno di un Nobel, in un altro è frutto dell’ingegno di un guardiano di porci, che viene ricompensato con cento baci dalla principessa (una Bibi Anderson al suo debutto).

Bergman si diverte a costruire scenette surreali e futuriste animate da figure sospese fra il meraviglioso e il grottesco: batteri in calzamaglia bianca rincorsi da saponi giganteschi in mezzo a foreste di peli; scienziati pazzi; figuranti in costumi settecenteschi che si aggirano tra cortigiani da operetta.
Assistiamo poi a spettacoli di marionette, a sequenze animate… insomma, sembra che Bergman abbia voluto costruire un mondo fantastico nel quale ritrovare il sé bambino che, con gli occhi pieni di meraviglia, scopriva la magia del cinema.

Quello che Bergman conduce non è altro che un gioco di prestigio, in cui la linea di confine fra realtà e sogno, come nel suo cinema, è fluida ed evanescente: la passione per il teatro e per l’arte di Méliès si manifesta in un gioco di finzioni, illusioni e ammiccamenti con lo spettatore, in cui è lo stesso regista-“mago” a svelare il trucco cinematografico. Ad esempio, l’episodio intitolato “Gustav III” si apre con una scena alla corte del più celebre re svedese, ma un movimento di macchina ci svela che ci troviamo sul set dello spot che stiamo guardando e un’attrice, di fronte a un tavolo, legge lo slogan del marchio, evidenziando quella commistione fra finzione e realtà che è propria del cinema e, suggerisce Bergman, anche della pubblicità.

L’influenza degli spot nella cinematografia di Bergman

Più che una costrizione, i nove spot sembrano costituire, per il regista, una fonte di evasione dalla sua consueta poetica: come spiega Francesco Bono, professore di Cinema, “in queste pubblicità le ossessioni bergmaniane sono presenti in ogni scena, ma vanno viste in una chiave liberatoria”.

Per quanto strano possa sembrare, gli spot del sapone Bris si inseriscono perfettamente all’interno della cinematografia di Bergman, introducendo una leggerezza, un umorismo e una vivace giocosità che, seppur in contrasto con la nomea di regista serio e tragico con cui è noto ai posteri, ritroveremo in opere come “Donne in attesa” (1952) e “Sorrisi di una notte d’estate” (1955).
Torneranno anche i riferimenti alla fiaba e alla magia: il bosco di cartapesta che fa da sfondo allo spot della principessa e del porcaio precorre “Il flauto magico” (1974), mentre la figura del presentatore che introduce lo spettacolo di magia rimanda a “L’occhio del diavolo” (1960) e il batterio in mantello scuro, con un cappello a falda larga, che insegue la goccia di sudore, evoca uno stregone che sembra uscito dal medioevo de “Il settimo sigillo” (1957). Inoltre, nei nove spot troviamo molti dei dispositivi stilistici e dei motivi che Bergman avrebbe utilizzato in seguito nei suoi grandi capolavori: specchi, doppi, l’azione di entrare o uscire da una storia come con un telescopio.

In definitiva, gli spot del sapone Bris costituiscono un vero e proprio anello di congiunzione all’interno della produzione cinematografica del regista.

Ingmar Bergman fra cinema e pubblicità

“Mi divertii a provocare lo stereotipico settore pubblicitario”, ha affermato Bergman, “potevo fare con il messaggio commerciale tutto quello che volevo”. Forse si può dire che il regista abbia piegato l’advertisement al suo volere, prendendosene gioco e sfruttandolo per sperimentare nuove forme narrative per il suo cinema, ma al contempo si è adeguato ai suoi schemi. Lo sostiene Oliviero Toscani: “Sono rimasto impressionato dalla velocità e dal ritmo degli spot di Bergman. Quello che si pensava dovesse essere l’ultimo a fare pubblicità ha invece dimostrato di essere stato il primo a intuirne le potenzialità. Senza cedere a contorsioni intellettuali e snobistiche”.

Insomma: Ingmar Bergman ha trovato il giusto compromesso fra cinema e advertising, arte e pubblicità.
Anche noi di Siks Adv troviamo sempre il giusto equilibrio fra creatività ed esigenze commerciali: contattaci per saperne di più!

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H2H: come comunicare Human To Human

12 Marzo 2021

Dimenticate il B2B (Business To Business) e il B2C (Business To Consumer), perché il presente è l’H2H, ossia la comunicazione Human To Human, “da umano a umano”.
A coniare il termine è Bryan Kramer, social media strategist e autore del libro There is no B2B or B2C: It’s Human to Human #H2H, che spiega: “i prodotti e le aziende non hanno emozioni, ma le persone sì”.
Se consideriamo che le persone sono da entrambe le parti, sia dal lato di chi comunica, sia dal lato di chi recepisce, siano essi consumatori (B2C) o aziende (B2B), possiamo capire l’esigenza di un approccio diverso, più umano.

L’approccio Human To Human (H2H)

“La comunicazione non dovrebbe essere complicata. Dovrebbe essere genuina e semplice, con la consapevolezza del fatto che siamo tutti umani multidimensionali, ognuno dei quali ha vissuto momenti di luce e di oscurità nella propria vita”, scrive Kramer. Non si tratta più, quindi, di consumatori o aziende, ma di persone con esperienze ed emozioni. Nell’era dei social, la comunicazione è un campo in cui si gioca ad armi pari. Quindi scendete dal piedistallo e mischiatevi fra i vostri clienti, interagite con loro, ascoltateli.
Puntate sull’empatia, su ciò che ci lega in quanto umani. Il punto fondamentale è che siamo tutte persone in carne ed ossa, con pregi e difetti.

L’azienda come persona

“Azienda”: la parola stessa rimanda a un’immagine astratta, tendenzialmente fredda, rigida, istituzionale.
Come possiamo renderla “umana”? Comunicando in modo diverso.
Rivolgetevi al pubblico con un tono di voce caldo, diretto, semplice e colloquiale, senza rinunciare alla professionalità. Evitate tecnicismi, espressioni asettiche e frasi fatte, che appaiono sterili e dispersive. Ormai le evitano perfino i bot, “umanizzati” con un linguaggio più naturale e qualche battuta scherzosa.
Ricordate che, almeno inizialmente, al cliente interessa poco conoscere tutte le specificità del prodotto o del servizio che vendete: sarà molto più interessato a sapere chi siete, cosa potete fare per aiutarlo, se può fidarsi di voi. In poche parole: il cliente vuole sentirsi vicino al brand. Pubblicate quindi contenuti che possano costituire una finestra aperta sul vostro mondo. Condividete i valori in cui credete, le cause che sostenete. Metteteci la faccia e “umanizzate” l’azienda, magari presentando al pubblico le persone che ci lavorano con foto, descrizioni, video e aneddoti dal “dietro le quinte”. È importante che il pubblico capisca che dietro a un marchio ci sono persone vere, come loro. Presentate chi siete e cosa fate, senza paura di mostrare anche i vostri errori: non avete nulla da nascondere, siete umani come tutti.

Il cliente come persona

Al centro della comunicazione Human To Human c’è il cliente inteso come individuo, che può trovare la sua rappresentazione nelle personas, modelli di consumatori-tipo con determinate età, occupazioni, interessi, hobby e chi più ne ha più ne metta.
Più è profonda e sfaccettata la caratterizzazione delle personas e meglio possono rispecchiare le persone reali, con bisogni e desideri specifici.
“Gli umani vogliono essere parte di qualcosa di più grande di loro. Gli umani vogliono essere inclusi”, scrive Kramer, quindi il consiglio finale è proprio questo: coinvolgeteli. Fate ampio uso di contenuti creati da loro e lanciate concorsi e sondaggi per tenere conto delle loro opinioni. Questo darà vita ad una situazione win-win in cui i clienti si sentiranno vicini al brand e voi avrete la possibilità di conoscere meglio il vostro pubblico.

H2H? Ci pensiamo noi!

L’approccio Human To Human permette di instaurare relazioni strette e di lunga durata col cliente.
Vuoi sapere come fare? Chiedi a noi.

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