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Torneo Ravano: “Stay Fit”, arriva la palestra virtuale per bambini

15 Aprile 2020

La pandemia di COVID-19 ha colpito anche il mondo dello sport, causando l’annullamento e il rinvio di numerosi eventi e manifestazioni. L’esempio più celebre, a livello internazionale, è sicuramente quello delle Olimpiadi di Tokyo, posticipate al 2021, ma l’emergenza ha colpito duramente anche il mondo del calcio, con il rinvio di tutti i campionati.

Per fortuna, in situazioni come questa, a vincere è l’intraprendenza, la creatività e la voglia di reinventarsi. E così lo storico Torneo Ravano, rimasto nel cuore di tantissime generazioni di bambini, ci tiene a non lasciare da soli tutti i giovani sportivi che avrebbero dovuto partecipare all’edizione di quest’anno.

La Fondazione Torneo Ravano – Coppa Paolo Mantovani ha infatti deciso di lanciare “Stay Fit”, una “palestra virtuale” per intrattenere tutti i bambini di 3°, 4° e 5° elementare che aspettano ancora fiduciosi la 36° edizione di quello che è il più grande Torneo Scolastico in Europa. Per farvi un’idea, contate che, nel 2019, il Ravano ha coinvolto 6.305 bambini fra gli 8 e i 10 anni, provenienti dalle Scuole Primarie della Liguria e del Basso Piemonte.

Ma c’è una grande novità: a dimostrazione del fatto che siamo più che mai “distanti, ma uniti”, la Fondazione ha deciso di estendere l’iniziativa ai bambini di tutta Italia, che potranno partecipare attraverso un’apposita piattaforma online.

Stay Fit, la palestra virtuale

Il progetto Stay Fit del Torneo Ravano, patrocinato dal CONI con il supporto di AIAC e AIC, vede al centro una piattaforma online sviluppata in collaborazione con Orangogo, visitabile all’indirizzo stayfit.torneoravano.com. 
Si tratta di un vero e proprio portale di e-learning, con un’interfaccia semplice e intuitiva, che ha debuttato lo scorso 10 aprile e ha già visto l’adesione di 17.222 scuole primarie.


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Sulla piattaforma, i giovani sportivi possono:

  • Realizzare la loro t-shirt d’allenamento UEFA RESPECT.
  • Filmarsi durante gli allenamenti per poi montare, con o senza commenti, un mini video della durata di massimo 90 secondi per ogni sessione.

Per il mese di maggio sono previsti anche laboratori educazionali, realizzati in collaborazione con ERG, ICS Istituto per il Credito Sportivo, Cambiaso Risso – Shipping Agency, BASKO Supermercati e U.C. Sampdoria.

Con il focus sul montaggio di brevi video, la piattaforma strizza l’occhio a Tik Tok, l’app più amata da bambini e teenager. Fondamentale e garantita, vista la giovane età dei partecipanti, la privacy e la sicurezza in merito ai contenuti condivisi e proposti. Oltre ai bambini, l’accesso è consentito al personale scolastico, ai genitori e ai testimonial sportivi, che forniscono feedback professionali sugli esercizi svolti e messaggi di stimolo e solidarietà.

Promozione social

L’iniziativa Stay Fit del Torneo Ravano, che promuove l’importanza di contrastare la sedentarietà nell’attuale stato di emergenza, si inserisce perfettamente nel contesto del recente e diffuso interesse degli italiani per l’attività fisica in tempo di quarantena, su cui hanno puntato diverse aziende in queste settimane, unita alla necessità di tenere “attivi” i bambini a casa.

In questo contesto, risultano decisamente commoventi le parole dello storico patron della Sampdoria Paolo Mantovani, che testimoniano l’importanza di una manifestazione come quella del Torneo Ravano, soprattutto nei momenti di crisi: “L’importante per noi è diffondere un sentimento nella gioventù della Città e nelle famiglie. Se potremo mantenere in futuro questa bellissima manifestazione, saremo certi di aver dato un piccolissimo contributo”.

Grazie a Stay Fit, il Torneo Ravano dimostra di essere più che mai presente e vicino a bambini e famiglie e di sapersi reinventare per “sopravvivere” in questo momento di crisi, trasformando un limite in un’opportunità.

Questo è un principio in cui crediamo fortemente anche noi di Siks, per questo motivo siamo lieti e orgogliosi di curare la gestione social (Facebook e Instagram) e il videomaking per questo progetto, in sinergia con il team del Torneo Ravano.

ll video che abbiamo realizzato per presentare la piattaforma punta sull’emozione, sulla consapevolezza di un mondo che è cambiato e sulla necessità di cambiare insieme a lui.

Una musica in crescendo ci mostra il mondo che conoscevamo (“Dove eravamo rimasti”) in contrasto con quello che stiamo imparando a conoscere da un mese a questa parte. Siamo passati dalle partite su campo agli allenamenti fra quattro mura, ma le parole chiave del Torneo Ravano rimangono le stesse: divertimento e competizione (non a caso, saranno indetti anche dei premi per chi dimostrerà creatività, costanza e iniziativa nell’allenamento).

E chissà che quest’idea nata da un’emergenza surreale, come suggerisce Ludovica Mantovani – presidente della Fondazione, possa diventare una costante nei programmi didattici, nella speranza che la scuola italiana si apra sempre più alle possibilità date dal web.

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Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

Advertising: il Coronavirus colpisce i brand

31 Marzo 2020

A inizio quarantena, abbiamo sorriso con i tanti post che re-immaginavano l’advertising dei grandi brand ai tempi del Coronavirus, ma ci siamo subito resi conto che quella che veniva dipinta non era una prospettiva così surreale.


In un certo senso, lo scherzo ha anticipato la realtà: in una situazione come quella che stiamo vivendo, è fondamentale che i brand prendano la parola per sensibilizzare e rassicurare i propri consumatori, dimostrando di essere affidabili, attenti e “sul pezzo”.

Tuttavia, pare che la strada sia ancora lunga: una ricerca di GfK effettuata qualche settimana fa sostiene che i consumatori percepiscano i brand come poco attivi a fronte di questa emergenza. Questo è sicuramente un fattore su cui bisogna lavorare.
C’è da dire, però, che gran parte delle aziende (multinazionali comprese) hanno cominciato a esprimersi sulla situazione in tempi recentissimi. In fondo, non è un mistero che questa pandemia globale abbia colto di sfuggita tutti, anche i più grandi brand.

Pessimo tempismo

L’emergenza che stiamo vivendo ha portato molte aziende che non producono merce di prima necessità a tagliare i costi pubblicitari per rispondere a un pubblico che presta molta attenzione alle notizie (sia quelle affidabili che, purtroppo, quelle false) e poca agli annunci.

Per molte altre aziende, l’emergenza è capitata “fra capo e collo”, nel bel mezzo di campagne che spesso, alla luce della situazione attuale, si è costretti a cestinare.

È il caso di KFC, costretta a ritirare una campagna basata sul motto “Finger licking good”, con manifesti e spot che mostravano persone intente a leccarsi le dita: non certo il massimo, in questo periodo!

Allo stesso modo, la marca di cioccolato Hersey si è vista obbligata a ritirare uno spot in cui apparivano abbracci e strette di mano e Geico, società di assicurazioni auto, una pubblicità in cui ci si dava semplicemente un ‘High Five’ (‘batti cinque’).
Un caso italiano è invece il ritorno del Crodino di Campari, l’analcolico ‘biondo’ che, nell’ultimo spot, “fa abbracciare il mondo” nel bel mezzo di una pandemia globale.

A tal proposito, ecco la gaffe della birra Corona, già penalizzata per il suo nome, criticata per la frase “Coming ashore soon” che per molti poteva alludere alla diffusione del Virus su scala globale.

Tutte da cestinare, quindi, le campagne del settore travel, che invitavano a viaggiare per l’Italia e per il mondo ancora nei primi giorni di quarantena.
Se gran parte di queste sono sviste fatte in buona fede, non si può non riconoscere un certo intento provocatorio nelle campagne di WeRoad lanciate a inizio marzo. In quel momento il Coronavirus poteva sembrare un argomento su cui poter scherzare, ma di lì a poco la situazione sarebbe degenerata, costringendo l’azienda a ritirare le campagne.

Giocare col logo

Anche in questo caso, un progetto creativo nato per gioco ha anticipato i brand veri e propri: si tratta di una galleria di loghi di importanti brand, modificati da un artista sloveno per rispettare la “distanza sociale” imposta dalla pandemia.
La galleria è stata pubblicata su Behance il 14 marzo e include anche il logo delle Olimpiadi, che sarebbero state rinviate solo dieci giorni dopo.

Dieci giorni più tardi debutta anche la trovata pubblicitaria di McDonald’s Brasil, che gioca a separare i celebri archi del suo logo. Il concetto base è lo stesso che in Italia sentiamo ripetere fino alla nausea da un mese a questa parte. Per citare Giuseppe Conte, “Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani”.

L’espediente del logo viene utilizzato anche da Coca Cola, Volkswagen e Audi.

A puntare sul monito “Restate a casa” ci hanno pensato invece Nike (“Play inside, play for the world”) e Burger King, che ha modificato la dicitura “Home Of The Whooper” con un eloquente “Stay Home”.

E, per finire come abbiamo iniziato, chiudiamo con un’altra idea nata per scherzo da due creativi thailandesi, che gioca a spaventare chi ancora non ha capito che deve rimanere a casa. Nello spot viene inscenata una finta campagna di Netflix in cui le strade delle città vengono tappezzate da manifesti che fanno spoiler sulle serie più seguite della piattaforma.
Il messaggio? Se questi manifesti ti rovinano la sorpresa, beh… è colpa tua che non sei rimasto a casa.
L’ideale per chi ha più paura degli spoiler che del Coronavirus.
Chissà, forse potrebbe funzionare.

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Il Coronavirus contagia la rete, i brand rispondono

5 Marzo 2020

Anche il più tragico fatto di cronaca può trasformarsi in un meme e il 2020 ce lo sta dimostrando alla grande: abbiamo iniziato l’anno con i meme sulla Terza Guerra Mondiale che sembrava imminente, poi è subentrato il Coronavirus con meme prima in versione internazionale e poi “Made in Italy”, per prendersi gioco delle contraddizioni e delle ipocondrie degli italiani.

Si è fatta molta ironia sulle mascherine, sul Virus che riduce i contatti sociali (per la gioia di molti) e sull’igiene che sembra divenuta una priorità solo in vista di una possibile pandemia, con Barbara D’Urso che, in diretta, fa “tutorial” su come lavarsi le mani: meglio tardi che mai!
Al centro dei meme più popolari c’è sicuramente l’Amuchina, con il suo gel igienizzante per le mani, che viene dipinta come la merce più rara e preziosa sul mercato (“Il mio tesssoro!” direbbe Gollum de Il Signore degli Anelli), con battute sui guadagni stellari dell’azienda a fronte di un fantomatico rincaro dei prezzi.

A quest’ultima accusa, Amuchina ha risposto direttamente sul suo sito internet, negando una variazione di prezzo.

Sempre parlando di igiene e di precauzioni, ha causato polemica un tweet della celeberrima Taffo Funeral Services che, ironicamente, auspicava un incremento dei decessi (e, di conseguenza, dei suoi potenziali clienti) per il Coronavirus, giocando sull’ignoranza collettiva con un post che invitava a non lavarsi le mani, a toccarsi spesso naso e bocca, a non coprirsi quando si tossisce.

Insomma, un vademecum di raccomandazioni al contrario che non è stato gradito dal popolo della rete. L’indignazione che cominciava a farsi strada su Twitter ha spinto Taffo a eliminare in fretta il tweet e a dichiarare di voler fare “un passo indietro rispetto alle istituzioni” con un video del responsabile commerciale Alessandro Taffo che debutta con la frase “In tanti ci state chiedendo un post sul coronavirus”, lasciando supporre che sul Coronavirus non si fossero proprio espressi, in un disperato quanto maldestro tentativo di obliterazione, che sembra tuttavia aver dato i suoi frutti (quasi nessuno parla della gaffe).
Gli screenshot comunque parlano chiaro: l’eliminazione del tweet è stato un passo falso in partenza, e Taffo si è comunque vista costretta ad ammetterne l’esistenza, senza tuttavia scusarsi (per la cronaca, anche quest’ultimo tweet è stato eliminato).

Insomma, l’umorismo caustico di Taffo è risultato decisamente fuori luogo in questo periodo di “psicosi collettiva”. A contribuire al clima apocalittico ci sono le sconvolgenti immagini dei supermercati quasi completamente svuotati, saccheggiati in massa come se fossimo all’alba di un olocausto nucleare. Ha destato l’attenzione dei social il fatto che, in mezzo a scaffali quasi vuoti, campeggiassero pile di confezioni di penne lisce avanzate. Questa tipologia di pasta era già stata in passato oggetto di scherno da parte della rete e vederla rimanere invenduta perfino in un’occasione del genere sembra aver confermato a molti quanto le penne lisce siano poco gradite ai consumatori.

Sebbene “l’odio” collettivo per le penne lisce non sia legato a uno specifico brand, una delle immagini più diffuse sui social reca in bella vista il marchio De Cecco, che ha intelligentemente risposto con un post: “Non tutte le #pennelisce sono lisce allo stesso modo: è la trafilatura al bronzo del Metodo De Cecco a renderle squisite!”.

A proposito di brand e di psicosi collettiva, nel resto del mondo non è certo andata meglio: secondo un sondaggio riportato dal New York Post, gli americani sarebbero restii ad acquistare la birra Corona a causa dell’associazione fra il nome del prodotto e il Coronavirus; lo conferma un’indagine di YouGov, il crollo del titolo in borsa (-8%) e milioni di ricerche effettuate su Google. La situazione è tale che l’azienda produttrice si è vista costretta ad emettere un comunicato che smentisce ogni possibile correlazione con il Virus.
Pare che tutto sia nato da alcuni meme assolutamente innocui, che hanno portato ad una situazione purtroppo degenerata in diversi paesi del mondo, che causerà ingenti danni economici al noto marchio di birra: si stimano perdite dei ricavi per circa 285 milioni di dollari.

È chiaro quindi che, in un’epoca in cui la rete riesce ad influenzare in modo così profondo il pensiero dei consumatori, sia necessario per qualunque brand rimanere costantemente informato su ciò che avviene online e sulle ripercussioni che questo possa avere per la propria reputazione, trovando il modo giusto per sfatare una “bufala” o per rispondere all’ironia del web, stando sempre attenti a non esagerare: la “gogna” social, per un brand, è sempre dietro l’angolo.

Noi di Siks possiamo aiutarti a curare la tua reputazione online con strategie mirate di social media marketing, contattaci per ulteriori informazioni.

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Bill Bernbach: una rivoluzione creativa che ha ancora tanto da insegnare

17 Ottobre 2019

Chi sono i Mad Man? Esistono davvero? Questa creatura quasi mitologica – camicia, cravatta a righe e idee geniali – trova la sua personificazione in William “Bill” Bernbach e nella sua rivoluzione creativa che ha scosso, negli anni ’50, il mondo dell’advertising allora tradizionale fondando un modello destinato a non invecchiare mai.
Oltre la famosa serie TV, approdiamo nella realtà di una storia – e di un manifesto intellettuale e creativo – che ancora oggi riecheggia nelle agenzie di comunicazione: pensare fuori dalla scatola per coinvolgere tutti.

William, ma per tutti “Bill”

William “Bill” Bernbach nasce nel 1901 nel Bronx di New York, da una famiglia modestissima ma creativa: il padre, disegnatore di abiti femminili, è stato uno dei suoi grandi ispiratori.
Bernbach lavora sin da giovanissimo, combatte nella Seconda Guerra Mondiale, e approda già nel 1946 nella storica Agenzia Grey Advertising, prima come copywriter e poi come direttore creativo: una scalata che non dura più di un paio di anni. Infatti, Bernbach, nel 1947 lascia la Grey per fondare la sua agenzia, la Doyle Dane Bernbach – DDB -.
E lo fa con una lettera significativa, forse vero incipit di una rivoluzione del pensiero, di cui vi riportiamo un frammento:

“[…] Sono preoccupato che cominci la sclerosi delle arterie creative. Ci sono un sacco di bravissimi tecnici nella pubblicità. E sfortunatamente hanno il gioco facile. Conoscono tutte le regole. Possono dirti che la presenza di persone in un annuncio lo faranno leggere di più. Possono dirti che una frase dovrebbe essere corta così o lunga cosà. Possono dirti che il testo dovrebbe essere diviso in paragrafi per una più facile e invitante lettura. Possono darti fatti, ancora fatti e ancora fatti. Sono gli scienziati della pubblicità. Ma c’è un piccolo problema. La pubblicità è fondamentalmente persuasione e la persuasione non è una scienza ma un’arte […]”

Si parla di “arte” che può salvare la comunicazione dalla concorrenza, dalla tanta consapevolezza accompagnata dalla scarsa capacità di persuasione, malattia di cui soffrivano molti pubblicitari dell’epoca: un’estrema sintesi che ha portato alla nascita di un nuovo capitolo nella storia dell’advertising.

La rivoluzione creativa di Bernbach

Una palestra per la mente, per sconfiggere la pigrizia, una capacità di vedere oltre, la rivalutazione dell’arte dello scrivere e dell’uso consapevole del copywriting. Tutto questo è alla base di una rivoluzione che fa emergere forte e chiara la voce dei copy e degli art: proprio lui li unisce in quell’unicum creativo che oggi conosciamo.
Non solo: Bernbach, e tutta la DDB, hanno scardinato l’allora convenzione del portare sul palmo della mano il cliente e il suo prodotto. Perché non partire “dal piccolo”, “dal secondo”, invece che essere sempre primi, unici e irripetibili? E così nascono le storiche campagne pubblicitarie Volkswagen, con la mitica headline “Think small” (1959), in un rigoroso bianco e nero, accostata all’immagine, piccola, piccolissima, relegata in un angolo, di un Maggiolone.
Lo stesso accadde poi per “We try harder”(1963): “noi ce la mettiamo tutta, proprio perché non siamo dei numeri uno, perché veniamo dal basso”. Si tratta dell’autonoleggio Avis, che ancora oggi usa questo copy.

Sovvertire le convenzioni legate all’advertising, sovvertire gli status symbol di un’America in crescita, per dare reale valore a un messaggio che non deve partire per forza da basi opulente e ultra-positive: perché il vantaggio si vede ancora meglio se non è evidenziato in maniera prepotente.
Basta essere creativi e scappare dalle forzature.

Perché la sua lezione è valida ancora oggi?

Perché la creatività è un bene collettivo, e può fregiarsi di umiltà, di semplicità, di fantasia, attaccando il reale piano della comunicazione. Bernbach ha portato onestà e partecipazione nell’advertising, creando quel “filo di verità” che porta l’interlocutore nel copy, nell’art, per relazionarsi con ciò che si vuole comunicare.
Insomma, la lezione di Bernbach riguarda proprio tutti: copy, art, clienti, target finale. Un insieme di figure sempre coinvolte tra loro dove nessuno è solo un operaio, solo un committente, solo uno spettatore.
Perché l’advertising è arte del comunicare, e la comunicazione è un qualcosa che riguarda tutti noi.

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Immagini, advertising, responsabilità: gli errori imperdonabili delle maison di moda

2 Ottobre 2019

Succede spesso che la comunicazione si intrecci con la moda: un campo affascinante, ché anche nel ramo dell’advertising lascia sempre il segno. Per lo più.
Già: perché che succede quando le grandi maison e i maestri couturier si fanno calcare troppo la mano dalla necessità di idealizzare il loro prodotto, commettendo qualche gaffe decisamente non perdonabile a livello sociale?
Questo è quanto è successo alla Maison Dior la quale, a metà di questo mese ormai giunto al termine, ha sottovalutato le conseguenze di una campagna advertising con protagonista Johnny Depp.

Dior: autoreferenzialità non responsabile

“We are the land. Sauvage”: in un percorso a ritroso su questo spot, girato nel deserto del Nevada, il claim finale ha fatto storcere il naso a molti, negli USA e non solo.
Perché la “terra selvaggia” in questione è la terra dei Nativi americani che, come la storia – ma anche i più recenti oneri della cronaca – ci insegnano, sono stati sterminati e rinchiusi nelle riserve.
Un accostamento quindi di termini decisamente in antitesi. Il tutto, poi, rafforzato da immagini affascinanti ma del tutto posticce: la bellissima Sioux, che in realtà è un’attrice canadese, e il ballerino intento a danzare in variopinti costumi Cherokee, ma sulle note di una chitarra elettrica suonata da Johnny Depp.
Che cosa si evince, da questo spot diffuso su TV e sulla carta stampata? Una mancanza di analisi e di responsabilità da parte della grande Maison Couturière che, pur di dare un contesto d’ispirazione forte – rimarcando la sensazione che il nome e l’aroma di questa eau de parfum devono per forza dare – sbaglia completamente il significante andando ben oltre la stereotipizzazione, ma rimanendo del tutto dentro all’auto-referenzialità.

Non solo Dior: il caso Gucci

Anche per la maison fiorentina Gucci sembrano lontani i tempi sognanti di “Flora”, l’eau de parfum che ammiccava ai richiami di “Pic Nic a Hanging Rock” sulle note dilatate della cover di “Heart of glass” dei Blondie: all’inizio dello scorso 2019, il brand è stato pubblicamente accusato da Spike Lee e altri esponenti del mondo artistico americano di non avere volontariamente un numero adeguato di stilisti neri. Non solo: negli stessi giorni, Gucci ha dovuto ritirare dal commercio USA un maglione che ricordava, a detta di molti, il “blackface”, il costume che, tra la fine dell’800 e gli anni ‘30, veniva usato dai bianchi per ridicolizzare gli schiavi. Solo una coincidenza? Molto probabile.
Ma la questione è un’altra: la maison, attaccata soprattutto su Twitter, ha risposto alle accuse con una dichiarazione di intenti – assumere sicuramente stilisti neri –  e un’azione concreta – far sparire dal commercio il maglione incriminato e porgere le più sentite scuse. Dior, invece, non ha fatto nulla per porre rimedio a questo scandalo al sole: tempestati di mention e commenti indignati da parte di mezzo mondo, la maison non ha ritirato lo spot, non ha fatto uscire nessun position paper, non ha messo in atto nessuna manovra di crisis management. Semplicemente, forse, lascerà che la folla si calmi e che lo spot venga dimenticato.

In Siks ADV, però, ci viene naturale riflettere su questi meccanismi comunicativi, e notare quale sia la grande mancanza di fondo: una totale assenza di crisis management, che oggi non può passare per un semplice comunicato di scuse, ma potrebbe arricchirsi di un qualcosa di unconventional, magari riprendendo proprio la campagna incriminata e, tingendola di ironia, sorridere di sé stessi e di tutti quegli errori che possono costellare il cammino stellato della moda.

Perché ciò che fa un brand è la sua capacità di comunicare, anche “fuori dalla scatola” autocelebrativa o convenzionale: un comunicazione che non si esaurisce solamente nel senso di evocazione che il prodotto, con il suo naming e la sua costruzione di immagini, ci dà. E, forse, per questo, preferiamo chi se la gioca su altri piani, proprio come Chanel fece in questo intramontabile classico dell’ADV firmato da Jean-Paul Goude.

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Ikea contro il cyberbullismo: le campagne che corrono sui social

11 Luglio 2019

Il fenomeno del cyberbullismo è ormai di portata mondiale: le società iper-tecnologiche, infatti, registrano un aumento esponenziale di questa forma di violenza silenziosa.
I dati del Centro Nazionale di Ascolto parlano di un 15,9% di ragazzi italiani vittima quotidiana di bullismo online.  E questo essere sempre “always on”, iper-connessi e iper-raggiungibili, rappresenta una modalità di utilizzo della rete senza filtri in cui gli adolescenti non sono in grado di proteggersi come gli adulti saprebbero fare.

Un tema, questo, caro anche al mitico brand svedese Ikea: perché Ikea, oltre a proporre ADV incentrate sulla comunicazione di brand e di prodotto, si focalizza con grande attenzione anche sulle tematiche sociali, con sincerità e con creatività.
Sincerità, perché il brand svedese conosce il suo potenziale comunicativo e di reach; e creatività perché la fantasia e le idee in fermento sono il miglior veicolo con cui catturare l’attenzione di chi legge, guarda, ascolta.
In particolare, Ikea ha lanciato ben due campagne negli ultimi anni, tra il 2018 e il 2019, durante le giornate contro il cyber-bullismo utilizzando non solo i social, ma anche l’esperienza diretta di studenti under 18. Vediamole insieme!

2018: “Bully a plant”

I danni del bullismo, sotto gli occhi dei più giovani, in veste di esperimento scientifico condotto con i propri professori della scuola secondaria: così il gigante svedese ha fatto registrare a ragazzi delle scuole medie, negli Emirati Arabi, una serie lunghissima di messaggi contenenti insulti e messaggi d’affetto, affinché fossero poi riprodotti ad alcune piante. E, incredibilmente, le piante che hanno subito durissimi commenti negativi sono appassite dopo 30 giorni, mentre quelle che hanno potuto “ascoltare” i rinforzi positivi sono rimaste in salute.
Il portavoce di IKEA ha dichiarato: “Questo test è stato creato da IKEA per gli Emirati Arabi Uniti per sostenere la giornata mondiale contro il bullismo, per aiutare i bambini a capire gli effetti del bullismo, educando i più giovani a questo argomento, con reazioni plausibili sotto i loro occhi, affinché avvenga la diffusione della gentilezza, che aiuta tutti a crescere e prosperare “.
E poco importa se le comunità scientifiche hanno valutato come poco veritiero il risultato dell’esperimento: quello che conta è come i più giovani abbiano potuto toccare con mano gli effetti della comunicazione “shaming”.

2019: Ikea “sensitive rooms”

Una big issue di apertura: “oggi, gli adolescenti non si sentono più sicuri a casa. Perché nelle loro stanze entra una invisibile violenza: il cyber-bullismo“; e un video che spiega in un minuto e mezzo questa iniziativa.
In particolare, Massimiliano Santini, Web&Social Media Leader di Ikea Italia, ci racconta, nello speakeraggio del video, l’iniziativa lanciata per la giornata italiana contro il cyber bullismo. Molto semplicemente: allestimenti e rendering di camere dedicate agli adolescenti, sul profilo Instagram, sono state oscurate da un watermark che indica “contenuto sensibile” durante la giornata nazionale di sensibilizzazione sul tema.
E la stessa cosa è stata replicata anche nei punti vendita fisici dove, all’interno dei reparti dedicati ai più giovani, sono apparse delle tendine con lo stesso messaggio veicolato sul web. Una tendina da valicare, ovviamente, e dove trovare, dietro di essa, contributi audio e video che raccontano come sia immediato l’effetto che questa forma di violenza porta anche nei luoghi in cui ogni adolescente dovrebbe sentirsi al sicuro e protetto.
Non solo: il “contenuto sensibile” è ciò che migliaia di adolescenti vivono nella loro stanza.
Una campagna social la cui portata è stata davvero ampia: oltre 7,4 milioni di persone raggiunte online, grazie anche all’hashtag #notinmyhomepage, per una diffusione totalmente organica e che è riuscita ad andare dritta al cuore del problema.

Un’idea creativa, quando incontra contenuti semplici, efficaci e comunicativi, riesce a ricevere risultati realmente importanti: e questa case history Ikea può fungere da memorandum per tanti altri brand, ricordandoci sempre quanto sia utile comunicare messaggi attuali e di come essere ambassador riconosciuti possa contribuire a gettare attenzione sulle problematiche che più ci stanno a cuore. Un lavoro sicuramente non facile, così come non è facile conquistare una brand awareness sempre efficace e positiva, ma utile a renderci protagonisti di una comunicazione in grado di andare oltre il marchio e oltre il commerciale.

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