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Flyingminds

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Agenzia di comunicazione

Advertising

Un brand diventa portatore di messaggi positivi: il caso Gillette

4 Febbraio 2019

Gillette è, probabilmente, uno di quei brand che pensiamo essere “standard” nella comunicazione: payoff immutato negli anni, target solido, ben preciso, comunicazione un po’ old school e tanto televisiva ma, comunque, efficace.
E, invece, ecco che la situazione in campo si rovescia, all’improvviso: il brand, infatti, ha preso una posizione culturale e sociale che ha smosso le folle. Proprio mentre il 2018 era agli sgoccioli, Gillette ha lanciato una nuova campagna video, dedicata al movimento americano #MeToo, attivo nel monitorare e contrastare ogni discriminazione sessuale. Un video lungo, oltre il minuto e mezzo, ricchissimo di immagini ed evocazioni, il cui messaggio desidera spingere gli uomini a reagire – per esempio – davanti a situazioni violente e inappropriate che compongono un mosaico di comportamenti definito “toxic masculinity”.

Non stupisce, quindi, che il video abbia ricevuto intense critiche sui social media: una voce dal coro, forse la più forte, è quella di una nutrita schiera di uomini che chiedono di boicottare il marchio P&G, a cui Gillette appartiene, lamentando una “demascolinizzazione” del brand.

Lo spot che ha fatto il giro del mondo:

Il video è intitolato “We Believe: the Best Men Can Be” ed è diventato immediatamente virale contando oltre 4 milioni di visualizzazioni su YouTube in 48 ore, tra generose lodi e critiche rabbiose: la nuova campagna pubblicitaria della compagnia gioca sul trentennale slogan Gillette “the best a man can get”, stravolgendolo con un gioco di parole e trasformandolo in un “the best the men can be”. Da “avere”, a “essere”.

Il tutto comincia con uno zapping, un tuffo nel passato, di vecchie ADV di brand dove l’uomo è al centro del suo mondo. Un videowall sfondato – all’improvviso – da ragazzini che si inseguono. E, ben presto, tutto cambia, tutto diventa attivo, in una call to action – è proprio il caso di dirlo –  che non si risolve in una semplice frase, ma che si compone di scene, di frammenti, dove protagonisti sono uomini che intervengono per fermare le lotte tra ragazzi e richiamare al rispetto altri uomini che molestano verbalmente donne per la strada. Fino al climax finale. L’annuncio è stato diretto da Kim Gehrig, videomaker dell’agenzia Somesuche, con sede nel Regno Unito. E proprio Gehrig sembra essere un habitué della provocazione, visto che anche la curiosa campagna”Viva La Vulva” del brand svedese di prodotti per l’igiene intima Libresse, porta la sua firma.

La querelle:

In poche ore, la pagina YouTube dello spot è diventata un vero e proprio campo di battaglia culturale. Non solo: la diatriba si è poi trasferita su Twitter, dove personaggi più o meno famosi degli USA – tra il consigliere di Trump e la nipote di Martin Luther King – hanno espresso il loro giudizio partendo dallo spot, e schierandosi così a favore, o contro, una battaglia.

Quando i brand divulgano messaggi positivi:

Non è più sufficiente per i brand vendere, semplicemente, un prodotto: i clienti, infatti, chiedono sempre più spesso valori. Perché mai come oggi il potere dei brand di influenzare la cultura, tra social e advertising, è stato sdoganato: meglio, dunque, diventare portatori di messaggi positivi. E Gillette lo ha fatto, stravolgendo l’immaginario-target di uomini forti, sicuri, perfetti, in una visione più profonda e avanguardista, con un “semplice” spot che si appella agli uomini di oggi e a quelli di domani.

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Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

Digital signage: ovvero, dialogare smart

24 Gennaio 2019

Avete presente Piccadilly Circus, o Times Square? Tra gli skyline, si distinguono nettamente – da anni – serie e serie di maxi-advertising su videowall. E oggi, nel 2019, potremmo dire che la storia non è cambiata, ma si è semplicemente evoluta. E si fa chiamare “Digital signage”: un nuovo linguaggio che abbraccia le città  – sempre più smart – e i suoi luoghi, nel pieno dell’era digitale.

Digital signage: di cosa stiamo parlando?

“Digital signage” significa dialogare e comunicare attraverso un display: una forma mentis, concreta (e figurativamente verbale) ormai tipica delle città in cui viviamo, sempre più “smart”.
Il digital signage si costituisce, infatti, di segnali video su schermi di diversi formati e dimensioni, che popolano stazioni, negozi, aeroporti, e moltissimi altri luoghi, anche i più impensabili, lanciando messaggi differenziati.
Filmati, effetti cromatici cangianti, grafica on screen e call to action al servizio del video led sono una vera e propria risorsa che consente di programmare accuratissimi planning, con veri e propri palinsesti basati su dati insight relativi a orari, necessità delle varie stagioni e dei messaggi commerciali (saldi, festività, fino al flusso dei visitatori, soprattutto per stazioni e aeroporti): esperienze customizzabili la cui richiesta, si stima, crescerà di oltre 9 punti percentuale nei prossimi tre anni. E non è difficile comprenderne il perché.

I dati:

Ce ne parla “Industria Italiana”, in un focus di qualche settimana fa, che riporta dati numerici davvero mirabolanti su quello che è il mercato del digital signage: “[…] basti pensare che le previsioni di vendita per il 2020 sono di 4,4 milioni di unità. […] Le aree geografiche che evidenziano la crescita più sostenuta sono l’America Latina e l’Asia Pacifico. Se gli schermi più venduti sono quelli con una risoluzione 1920×1080, la crescita maggiore anno su anno viene registrata dalle vendite di unità display con risoluzione 3840×2160, aumentate di 4 volte. In termini di dimensioni la crescita maggiore è stata invece evidenziata da display a 32 e 43 pollici.”

Il caso Samsung:

Samsung, in fatto di Digital Signage, è la prima corporate in classifica: la multinazionale coreana, infatti, ha uno sharing del 39%, seguita da Lg, Goodview e Nec, nettamente distaccati. E proprio Samsung è il brand che ha creato i supporti su cui scorrono i segnali di “The Wall”, nel nuovo aeroporto di  Instanbul: una delle più grandi strutture digital signage al mondo – inaugurata lo scorso dicembre – per una superficie di oltre 1000 metri tra schermi LCD e Led, ricca non solo in informazioni di viaggio, ma anche intrattenimento, informazione e advertising, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, grazie a semplici funzioni di programmazione che fanno sembrare la cartellonistica un antesignano metodo di diffusione delle informazioni.

Il futuro è già qui!

Ma cosa rende il digital signage “smart signage”? Infatti, un altro passaggio sta per compiersi, in questa inarrestabile evoluzione della comunicazione contemporanea: la cartellonistica digitale è, a tutti gli effetti, device multitasking per comunicazioni di ogni sorta. Ed è proprio per la sua definizione, tra dimensioni differenti, messaggi, grafiche e video, che diviene smart: un sistema a servizio di ogni creatività e di ogni differente tipologia di idea, soprattutto in fatto di advertising, che mette a disposizione del mondo della comunicazione possibilità di adattarsi a qualsiasi necessità, spazio, formato, dove l’interazione e l’effetto “wow” sono sempre garantiti, in una perfetta unione di media, informatica, grafica, video e copywriting.

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Filed Under: Advertising, Internet & New Media

“Come da tradizione”: i migliori spot emozionali di questo Natale

21 Dicembre 2018

Messaggi non subliminali e orientati alla socialità: è questo il fil rouge del Natale 2018 visto secondo le campagne spot di alcuni brand giganti  – ma non solo! – che ci accompagnerà durante le festività. C’è spazio per tutto: commozione, riflessione, divertimento.

Ecco, quindi, la selezione che abbiamo fatto per voi, in Siks ADV.

Quando le emozioni non si lasciano condizionare dal budget

È notizia di questi giorni che uno dei migliori spot natalizi targati 2018 sia stato girato con un budget di sole 50 sterline: si tratta di uno storytelling  – ricetta sempre vincente – a base di emozioni toccanti, quotidiane, che vanno a comporre il leitmotiv di “Hi Chris, it’s mom”. Un video che  – probabilmente –  non dominerà i media planning della stagione, ma che si è conquistato il trono della viralità su YouTube: ogni Natale, il ragazzo protagonista ascolta una cassetta molto speciale, da una scatola in cui conserva tutti i vecchi nastri su cui è incisa la voce della mamma, che non c’è più. Il 2018 è l’anno in cui Chris compie 30 anni, ed è anche l’anno dell’ultima tape incisa dalla madre. Il tutto si conclude con il payoff “Love is a gift”, semplice e naturale. La lacrimuccia è d’obbligo!

Metti via quel cellulare!

Dall’Inghilterra passiamo in Spagna: qui il Natale si fa più giocoso con Ikea che, nel suo nuovo spot dedicato alla zona iberica, affronta un tema su cui fermarsi a riflettere. In questo nuovo spot di ben tre minuti, cinque famiglie prendono posto sedendosi al tavolo – sontuoso ed elegante – della cena di Natale. Qui parte un quiz dal gusto televisivo, fatto di poche e semplici regole: la voce fuori campo del presentatore inizia dicendo “se dai la risposta giusta, prosegui la cena, se sbagli, ti alzi da tavola e vai via”.
E, dopo domande su social e gossip, ecco che arrivano quelle legate alla vita e agli accadimenti di amici e familiari. Uno dopo l’altro, gli ospiti – dando la risposta sbagliata –, vengono eliminati. La tavola si vuota. Un messaggio forte veicolato attraverso un’ADV dal taglio spettacolare e accompagnato dalla dichiarazione fatta da Ikea che, foriera di buoni esempi, ha deciso di sospendere ogni attività social dal 24 dicembre al 1 gennaio.

Non poteva mancare Apple

“Share Your Gift”, ovvero: “Condividi i tuoi doni”, non materiali, ma di talento. Questo è il titolo dato al nuovo capitolo a tema Natale firmato dal team creativo di Apple, che per l’edizione 2018 sceglie come formula visiva una bellissima animazione. Lo spot sembra tagliato su misura per i giovani creativi, una fucina d’ispirazione per il Brand di Cupertino, i quali vengono invitati a “condividere” il proprio talento. Uno spot dolce, colorato e positivo, dove le vicissitudini che accadono alla giovane protagonista nelle vesti di cartoon sottolinea quanto sia importante credere nel proprio talento. E il concetto viene rafforzato da questo storytelling privo – come accade per ogni spot natalizio Apple – di dialoghi, ma carico di emotività.

Uno sguardo all’Italia

Un Natale più colorato, senza troppe morali, ma con un messaggio commercialmente democratico: quello di rendere accessibile il lusso di un prodotto ricercato e gourmet come può essere un panettone tradizionale meneghino. Tre Marie, assieme all’agenzia Grey, ha quindi optato per un racconto impattante e divertente, in cui famiglie milanesi, vicine di casa, si sfidano a colpi di kitsch e di esagerazioni facendo a gara sull’esibizione del proprio spirito natalizio. Riusciranno a seppellire l’ascia di guerra, guardandosi di sbieco dalla finestra, e sventolando i loro panettoni Tre Marie?
Uno spot serrato, incentrato sul brand e sul concetto che il marchio Milanese da diversi anni cerca di veicolare: a Natale ci si può concedere qualche strappo alla regola con “Il buono di Milano”!

Insomma, si può dire che questo 2018 si spoglia dei simboli più tradizionali del Natale, come Babbo Natale, le piste di pattinaggio ghiacciate, gli alberi decorati e i grandi pacchi regalo, per vestirsi di messaggi pregnanti che, attraverso la formula dello spot video, della creatività multiforme e della scelta stilistica di raccontare tante storie secondo mood e tecniche differenti, ci regalano un momento di riflessione.

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Quella sagoma che ha fatto la storia: un’ADV semplice come un caffè

28 Novembre 2018

Il caffè: cosa rappresenta per gli italiani? Forse sarebbe meglio dire “quanto” rappresenta. Talmente tanto da essere divenuto un elemento di espressione idiomatica per invitare qualcuno ad aprirsi, per confrontarsi, per parlare: nella frase “andiamo a prenderci un caffè” sono racchiuse davvero tante sfumature della condivisione e del dialogo.
Ma sarebbe stato così se il caffè non avesse avuto un nome e… un volto (in passo-uno)? Non vogliamo essere eccessivamente misteriosi: stiamo parlando proprio del rapporto tra Lavazza e l’advertising di Armando Testa – un rapporto continuativo, per quasi 50 anni – che ha generato qualcosa di indimenticabile.

Quella sagoma che ha fatto la storia

“Paulista” non è un solo prodotto, ma nome, un personaggio: un cono bianco, con sombrero, occhi spalancati e grandi baffi che ha preso per mano generazioni di italiani accompagnandoli nella stringa pubblicitaria quotidiana, poco prima di coricarsi (decisamente strano per un caffè!).
E il Caballero Misterioso è il personaggio che ha accompagnato il principio della storia advertising del marchio torinese: infatti, se Emilio Lavazza ha lanciato il suo caffè nel 1955, nel 1958 ecco che aveva già incontrato il genio di Testa e del suo personaggio. Un qualcosa di semplice, a primo acchito, ma che così non è stato. Proprio come ha raccontato Armando Testa, in questo intervento:

“In Carosello, durante il minuto di spettacolo, non era permesso alcun riferimento pubblicitario. Paulista, ormai immediatamente riconoscibile come marchio del caffè Lavazza, non poteva quindi essere il protagonista delle nostre storie.
Dovetti studiare a lungo per creare un altro personaggio, il Caballero Misterioso, un semplice cono di gesso bianco, con un ampio cappello ed un cinturone con la pistola che, solo alla fine, rivelava la sua vera identità trasformandosi in Paulista.
Al Caballero affiancai una compagna, Carmencita, uguale nelle proporzioni, ma con lunghe trecce nere. Entrambi erano senza braccia e senza gambe, avevano il sorriso disegnato; il Caballero poteva solo muovere il cappello e la pistola, mentre Carmencita agitava le trecce. Avrebbe funzionato? Non lo sapevamo…“

La programmazione

Ma la TV non è stata la prima vita di Caballero: la sua prima apparizione è avvenuta – a braccetto con lo slogan “amigos, che profumo“ – sui barattoli del medesimo caffè, nelle affissioni pubblicitarie tra giornali e città italiane. Vestito di poncho, il caffè Paulista è poi sbarcato su Carosello nei primissimi anni ‘60: un periodo in cui la pubblicità era meno diretta, forse più subliminale, ma garbata, dovendo entrare nelle case di italiani. Si trattava, quindi, di farsi ricordare raccontando una storia, in soli 2’30’’. E in bianco e nero per giunta. Correva l’anno 1964 quando Emilio Lavazza e Armando Testa partono per questa avventura, affiancando a Caballero Carmencita, in un “amore a prima vista”. Una storia d’amore, questa, che va avanti tra rime e piccoli payoff finali, senza nessun richiamo al caffè o al prodotto in sé se non nella striscia finale – modus operandi già diffuso all’epoca, se pensiamo al famoso “Ava come lava” – fino al 1977, quando la crisi economica e gli anni di piombo trasformano gli italiani: la necessità, ora, è uscire dagli schemi fantastici proponendo volti reali, familiari. Primo fra tutti l’indimenticabile Nino Manfredi, e il suo “più lo mandi giù e più ti tira su”. Ma questa è un’altra storia.

Può quindi l’ADV essere una cosa semplice, e indimenticabile, come un cono bianco con sombrero e baffi, come un caffè? Certo che può, tanto da fare la storia della pubblicità e della quotidianità di milioni di persone!

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Fellini e la pubblicità: fuori dagli schemi, dentro al mondo dei sogni

14 Novembre 2018

Atmosfere sognanti, musiche accennate, rumori di sottofondo e, in un caso particolare, volti conosciuti del grande schermo e della TV: così, Federico Fellini ha fatto della pubblicità una piccola parentesi nel suo grande amore verso l’arte visiva e la pellicola. E lo ha fatto soprattutto attraverso un immaginario particolareggiato, che si discosta molto da quello “solito” dell’advertising video. Infatti, il leitmotiv degli spot felliniani è dettato dal non concentrarsi minimamente né sul target a cui è diretta la campagna, né su quelli che sono i codici comunicativi più diffusi – tra copy accattivanti, payoff e media planning per il broadcasting -. Per Barilla, Campari e Banca d’Italia, Federico Fellini ha usato la sua più fervida immaginazione, donando al grande pubblico un’ultima impressione su quello che “era il suo” cinema: infatti, proprio gli spot televisivi sono stati tra le ultime attività del regista riminese.

Fellini per Barilla

Un menù ristorante articolato, quasi fantascientifico, pronunciato da uno zelante maître di sala. Ma, la signora protagonista, uscita dritta dritta dall’immaginario femminile del maestro riminese, si rivolge a loro – e al suo amato commensale –  risponde “Rigatoni”. Ovviamente, Barilla. E con tanto di “r” moscia.
Nasce così il primo spot firmato Fellini per il brand più noto al mondo di produzione di pasta, ormai multinazionale: correva l’anno 1984, e il titolo era “Alta società”, per uno spot così ordito di echi cari al cinema e che ben si accostano al prodotto pubblicizzato, a pochi anni di distanza dall’avvento del payoff più mainstream “dove c’è Barilla c’è casa”.

Fellini per Campari

Fortunato Depero, Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello sono stati – oltre che grandi nomi della pubblicità italiana, legati alla grafica delle affissioni nel consueto stile mélo – i co-autori di questo spot del 1984, affiancando Federico Fellini nella realizzazione della réclame televisiva di uno degli aperitivi storici del nostro paese.
La trama: una ragazza annoiata continua a cambiare, con un telecomando, ciò che vede dal finestrino del treno durante il viaggio. Ed è il magico viaggiatore seduto di fronte a lei, quasi come un genio della lampada, a presentarle differenti scenari. La viaggiatrice deciderà di soffermarsi su Piazza dei Miracoli di Pisa, dove la celeberrima bottiglia rossa appare davanti al Battistero. E la conclusione, nel payoff: “Campari: più di un capolavoro, un miracolo.”

Non solo food and drink: il trittico per la Banca di Roma

Una serie di tre spot, molto oscuri e decisamente criptici nel significato, che rappresentano anche una delle ultime azioni artistiche di Fellini, e dove il protagonista è il genovese Paolo Villaggio. Prendiamo, per esempio, il primo spot trasmesso, in ordine cronologico, che è anche il più fantasioso e sereno del trittico: un’evocazione del cinema muto e, al tempo stesso, un incubo. Ritroviamo qui anche un paradigma dell’immaginario di Fellini: una bellissima ragazza bionda – Anna Falchi – come la Ekberg di “La Dolce Vita”, che tortura il povero protagonista, mettendone a repentaglio la vita.
Ma solo alla fine, si scoprirà che il protagonista, Villaggio, è in seduta analitica, e confessa a uno psicologo le sue più grandi paure, sotto forma di sogno: il dottore, quindi, gli consiglia di rivolgersi alla Banca, la quale non eroga solo servizi finanziari. Infatti, prima di ogni altra cosa, dona tranquillità.

Spot e comunicazione riuscita? Forse no. Infatti, gli spot diretti da Fellini non sono rimasti nell’immaginario comune dello spot. Basti pensare che Barilla ha decretato il suo successo mediatico e delle sue campagne di comunicazione anni dopo il lavoro del Maestro. Ma, come sappiamo, il mondo dell’advertising è fatto di anche evocazione, magia, orizzonti altri: e, sicuramente, Fellini ha saputo dipingerli, pur riducendo all’essenziale i codici e gli strumenti comunicativi più canonici del mondo pubblicitario.

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Food: un cambiamento delle necessità, visto con gli occhi dell’ADV

5 Novembre 2018

Il cibo è l’eccellenza made in Italy, e la sua comunicazione gioca una parte fondamentale nel suo successo, nella sua diffusione, nel suo essere dipinto come non più una necessità, ma un desiderio. E proprio per questa sua efficacia, il piglio dell’advertising a tema food è profondamente cambiato negli anni, plasmandosi ai gusti, ai cambiamenti e ai consumi.
Se oggi il cibo è quasi scomparso dalla TV, negli anni ‘60 e ‘70, con il famoso Carosello, i prodotti delle aziende alimentari italiane sono stati i veri protagonisti, soggetti ultra-raffigurati, della pubblicità: perché l’advertising e il cibo sono sempre andati a braccetto, in un lungo percorso che è arrivato fino a noi, oggi. Partiamo insieme per questo viaggio!

ADV… Vintage

Il linguaggio più vintage si rifà al periodo precedente l’avvento della televisione: campagne prettamente figurative e stampate, che ci parlano di Cynar, Plasmon, Buitoni, Motta. Una giostra di prodotti in un immaginario cartellonistico, grafico, la combinazione perfetta tra lettering e disegno. Un timido accenno di payoff, come il notorio “Contro il logorio della vita moderna”, che oggi ci strappa un sorriso, mentre riguardiamo – probabilmente- una qualsiasi di queste affissioni in un locale contemporaneo. Siamo oltre ciò che in gergo si chiama “ricordo pubblicitario” o “ad recall”!

E, tutto questo, fino all’avvento del Carosello, dove ciò che veniva evidenziato, nelle epoche più lontane rispetto a noi, erano le caratteristiche proprie di ogni bene presentato: senza troppi fronzoli, con jingle minimali e volti famosi dai modi garbati. La leva veniva posta sul gusto, sulle proprietà nutritive e, con un primo accenno, sulla celebrità del brand promotore.

I bisogni che cambiano, con gli anni ‘80

Il gattino Barilla, il Mulino Bianco, gli anni ‘80 e l’abbondanza sulle tavole che si è manifestata anche grazie alla pubblicità. Il connubio televisione-cibo ha trovato così il legame perfetto, attiguo, con gli anni ‘60, in un’evoluzione di réclame: “Ambrogio”, “Io non ho mai provato Hurrà”, “Silenzio, parla Agnesi” e tanti altri tormentoni hanno avuto, da un punto di vista prettamente di marketing, il compito di evidenziare bontà, unicità e tante altre caratteristiche – quasi mai legate alle necessità alimentari – di questi prodotti, tra i primi accenni di storytelling, proprio come la campagna pubblicitaria Barilla dove protagonisti sono una bambina, un gattino e una mamma preoccupata, per un plot che è rimasto soggetto del brand fino alla metà degli anni ‘90, con la sinfonia firmata da Piovani e dove il prodotto racconta una storia quotidiana, associandosi a ciò che è “focolare”, grazie  all’intramontabile payoff “Dove c’è Barilla c’è casa” e che appare solo tra gli ultimi fotogrammi, tuffandosi nella pentola dell’acqua bollente.

E così è stato anche per la signora in giallo dei Ferrero Rocher, che si concede un piccolo grande lusso, che “non è fame, ma è più voglia di qualcosa di buono”. Battute che rimangono scolpite nella mente degli italiani perché, a tutti gli effetti, evocano, ricalcano le migliori forme di copywriting, arrivando dritte nei carrelli della spesa.

Il presente

Oggi, proprio come negli anni ‘80, l’advertising food italiano viene trattato con brevi clip dove persone reali parlano dei loro desideri, dei loro bisogni. E dove, sempre più spesso, spogliandosi di questo retaggio anni ‘90, sono i cibi stessi a parlare per soddisfare i bisogni. Ne è un esempio Grancereale Mulino Bianco, o per Crema di Yogurt Müller: perché la pubblicità, oggi, racconta necessità che diventano una storia. Certo, i payoff sono sempre meno memorabili, ma la qualità dell’immagine – particolareggiata, pop, vivida – rendono ogni prodotto speciale per l’ad audience, che ritrova in uno spot una reale esperienza. Un po’ come la storia del Cornetto, di cui abbiamo parlato durante questa caldissima estate 2018 che sembra quasi non voler finire.

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