• Home
  • Works
  • Destinations
    • servizi digital
    • grafica
  • Travellers
  • Journal
  • Contacts
  • Skip to main content
Flyingminds

Flyingminds

Agenzia di comunicazione

Campagne Marketing

Co-creazione di valore fra brand e cliente: il caso IKEA

21 Settembre 2021

Quale brand vi viene in mente se vi parliamo di oggetti coloratissimi dai nomi impronunciabili, matitine omaggio e polpette svedesi?
Avete indovinato: IKEA!

Grazie alle sue particolarità, il colosso nord-europeo è riuscito a distinguersi nella massa grigia dei suoi competitor, guadagnandosi un posto saldo nel nostro immaginario da oltre 20 anni.
La principale caratteristica di IKEA, presente nelle barzellette degli anni ‘00 così come nei meme di oggi, è il fatto che i suoi mobili vadano montati. Oggi vi spieghiamo come e perché questa scelta ha decretato il successo dell’azienda, facendo luce sui vantaggi della co-creazione di valore fra brand e cliente.

Fatica e amore, lo studio

Partiamo da ‘The “IKEA Effect”: When Labor Leads to Love’, studio del 2011-2012 dell’Università di Harvard a cura di Michael I. Norton, Daniel Mochon e Dan Ariely. La ricerca prende spunto dal fallimento dei primi preparati istantanei di torte degli anni ’50: si ipotizzò che vendettero poco perché erano troppo facili da realizzare, rendendo superfluo il lavoro delle casalinghe. Per questo motivo, l’azienda produttrice decise di cambiare la ricetta in modo che richiedesse l’aggiunta di uova. La richiesta di una partecipazione attiva, seppur minima, si rivelò fondamentale nel successo del prodotto, tanto che — ancora oggi — tutti i preparati per torte richiedono l’aggiunta di almeno un ingrediente.
Alla base di questo fenomeno c’è quella che diversi psicologi definiscono “giustificazione degli sforzi”, ovvero l’idea secondo cui quanto più sforzo mettiamo nel perseguire un obiettivo, tanto più saremo orgogliosi e appagati nel vederlo prendere forma. IKEA sfrutta questo bias cognitivo promuovendo un rapporto stretto fra consumatore, oggetto e brand.

Co-creazione di valore: vantaggi

Risparmio

La co-creazione di valore permette all’azienda di delegare gran parte del lavoro al cliente finale, risparmiando sui costi di fabbricazione.

Conoscenza

Offrire la possibilità di personalizzare il bene permette al brand di acquisire informazioni strategiche in merito alla preferenze e alle abitudini dei propri clienti.

Fidelizzazione

La fase di montaggio diventa parte integrante del valore del bene acquistato e la sua buona riuscita culmina in una profonda soddisfazione personale da parte dell’acquirente. Questo aumenta la fidelizzazione del cliente, che — essendo coinvolto in prima persona — può sentirsi in parte responsabile del successo del brand, fino a diventarne ambasciatore.

Disponibilità a pagare

Il processo di co-creazione intensifica il legame con l’oggetto in questione, per il quale il cliente sarà disposto a pagare un prezzo più alto rispetto a un esemplare equivalente, ma preconfezionato.

Co-creazione di valore: consigli per i brand

Il lavoro richiesto al cliente deve essere semplice, ma non troppo. Il compito deve richiedere un certo impegno per far sì che l’acquirente si senta coinvolto e quindi utile alla causa, ma tale mansione deve essere “fattibile” e spiegata in modo chiaro. Fornire una certa autonomia nelle scelte di personalizzazione del cliente permette infine di scongiurare gli effetti del self-serving bias, ossia quel meccanismo mentale per cui si tende ad associare le vittorie a noi stessi e i fallimenti agli altri — al brand, in questo caso. Al contrario, un maggiore coinvolgimento nel processo di creazione porta il cliente ad assumersi la responsabilità in entrambi i casi.

Vuoi sapere come costruire legami stretti con i tuoi clienti? Contattaci!

Articoli recenti

  • Il caso Supreme, quando lo streetwear sfocia nel lusso
  • Social Media Marketing: conosci la tua audience
  • Psicologia e marketing, la scienza della persuasione
  • Customer Journey: com’è cambiato nell’era digitale

Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

Psicologia e marketing, la scienza della persuasione

23 Agosto 2021

Le nostre scelte d’acquisto sono profondamente influenzate da stimoli di natura psicologica. Fra gli studiosi che si sono occupati di questa correlazione, il più noto è forse Robert Cialdini, psicologo e professore di marketing che ha forgiato 6 “armi” che permettono ai marketers di affinare l’arte della persuasione. Farne uso non significa manipolare i clienti, ma capire come entrare in contatto con loro.
“Perché una richiesta formulata in un certo modo viene respinta, mentre una richiesta identica presentata in maniera leggermente diversa ottiene il risultato voluto?”, si chiede Cialdini.
La risposta è nel suo libro Le armi della persuasione (1984), che dopo quasi 40 anni continua ad essere un punto di riferimento per ogni tipo di studio inerente il collegamento fra marketing e psicologia, a testimoniare quanto non sia l’interiorità degli individui a cambiare nel tempo, ma il contesto che la circonda.

Robert Cialdini: le 6 armi della persuasione

Ogni giorno facciamo decine di scelte: il nostro cervello avrebbe bisogno di elaborare un elevato numero di dati per gestirle al meglio, ma non ha abbastanza tempo per farlo, per cui va alla ricerca di “scorciatoie” per velocizzare il processo decisionale senza spendere troppe energie. Queste scorciatoie diventano leve di persuasione universali, in grado di influenzare il comportamento di tutti gli esseri umani.

Reciprocità

Il concetto è semplice: quando riceviamo qualcosa, ci sentiamo in dovere di ricambiare. Cialdini afferma che le mance di un ristorante aumentano quando il cameriere omaggia i suoi clienti di una caramella, accompagnando il gesto con una frase che li faccia sentire speciali (“Ecco un omaggio per i nostri clienti più affezionati!”). Vale anche per il rapporto fra consumatori e brand: l’azienda deve essere la prima a fare un piccolo gesto nei confronti dei suoi clienti, qualcosa di personalizzato e inaspettato. Nella lead generation, l’omaggio può essere una risorsa gratuita, ad esempio un ebook, in cambio dell’indirizzo email del cliente.

Riprova sociale

Ecco un altro assunto sempre valido: quando siamo incerti sul da farsi, scegliamo quello che hanno già scelto gli altri.
Ad esempio, se cerchiamo un ristorante in una città che non conosciamo, saremo più propensi a recarci a un locale pieno di gente rispetto a uno completamente vuoto: il nostro cervello decide che, se molte persone hanno scelto quel posto, vuol dire che si mangia bene.
Allo stesso modo, saremo propensi a recarci nel ristorante che ha le recensioni migliori su Tripadvisor.

Scarsità

Un’altra verità assoluta: una cosa ci attrae di più quando la sua disponibilità è limitata. “Le persone sembrano più motivate ad agire dal timore di una perdita che dalla speranza di un guadagno di pari entità”, spiega Robert Cialdini. È la stessa logica che ci spinge a interrompere la telefonata che stiamo facendo per rispondere ad un’altra chiamata che arriva nel frattempo: abbiamo paura di perdere questo secondo contatto, quindi siamo disposti a “mettere in pausa” il primo, che in quel momento è perfettamente accessibile. Allo stesso modo, i clienti sono molto più interessati a quello che potrebbero perdere dalla mancanza del prodotto rispetto a quello che potrebbero guadagnare dalla sua presenza. Ecco spiegato l’appeal dei prodotti in edizione limitata e l’impatto psicologico di avvisi come “Solo una camera disponibile” oppure “Altre 10 persone stanno guardando questa stanza” quando stiamo scegliendo un albergo online.

Coerenza

In poche parole: se abbiamo preso una decisione, non cambieremo rotta. Pur di non apparire incoerenti, resteremo fedeli a una decisione presa in precedenza. Ad esempio, uno studio americano ha dimostrato che il tasso di perdita di appuntamenti in ospedale si riduce del 18% se si chiede ai pazienti di scrivere loro stessi la data sul biglietto promemoria.

Nel marketing, il concetto di “soddisfatti o rimborsati” giova di questa coerenza: è prevedibile che solo un numero trascurabile di clienti ne usufruirà, mentre la maggior parte degli acquirenti vorrà mantenersi coerente con la scelta d’acquisto, anche qualora non risultasse completamente “soddisfatto”.

Autorità

Questa leva psicologica ci spinge ad assecondare le richieste fatte da persone autorevoli o competenti nel loro settore. Ecco spiegata l’enfasi su elementi che mettono in luce il valore del prodotto o del servizio, come la pergamena di laurea esposta nello studio del dentista, o l’approvazione di un dentifricio da parte dell’Ordine dei Medici ed Odontoiatri. La scelta del testimonial può anche basarsi sul rapporto di fiducia e familiarità che questo ha stretto con i nostri potenziali clienti, al di là delle competenze del soggetto – lo vediamo spesso nel caso degli influencer.

Simpatia

La simpatia, volente o nolente, influenza molte delle nostre scelte di vita: siamo naturalmente predisposti ad assecondare le persone che ci piacciono e a contrastare chi non ci piace. Nel caso del marketing, far risultare “simpatico” un brand richiede una buona dose di creatività e una profonda conoscenza del proprio pubblico di riferimento, in modo da sintonizzarsi con la loro visione del mondo, con i loro sentimenti e desideri. Detto questo, è fondamentale tenere a mente che nella vita, così come nel marketing, non si può stare simpatici a tutti…

La settima arma: l’unità

In una recente intervista, Cialdini ha svelato di aver individuato una nuova leva universale di persuasione: l’unità.
“L’idea che condividiamo un’identità con qualcun altro fa sì che vogliamo dire di sì alle persone con cui condividiamo quell’identità in misura maggiore rispetto a quelle che sono al di fuori di tale condivisione”, spiega lo psicologo.
Tale “comunione d’identità” può trovare compimento all’interno delle community online, come i gruppi di Facebook o di Telegram. Creare una comunità organizzata intorno al proprio brand può risultare particolarmente fruttuoso, purché il legame venga “coltivato” nel tempo con contenuti esclusivi e altro materiale che possa suscitare un senso di appartenenza ed esclusività nei suoi membri.

Noi di Siks possiamo aiutarti a comunicare in modo efficace con i tuoi clienti: contattaci!

Articoli recenti

  • Customer Journey: com’è cambiato nell’era digitale
  • Advertising: 6 metodi per sviluppare la creatività
  • Email marketing: ecco perché è importante per il tuo brand
  • Gli errori dei brand, ecco come imparare dai fallimenti

Filed Under: Campagne Marketing

Gli errori dei brand, ecco come imparare dai fallimenti

22 Agosto 2021

Dagli errori si impara sempre qualcosa.
La situazione ideale è quando a sbagliare sono gli altri: avulsi dal bruciore del fallimento, possiamo analizzare la situazione dall’esterno, con razionalità, e capire quali insegnamenti trarne.
Con questo spirito, diamo un’occhiata ad alcuni dei più grandi fallimenti dei brand, raccolti in un curioso museo a Helsingborg, in Svezia. L’intento dell’esposizione è quello di portare i visitatori alla consapevolezza che anche i colossi contemporanei non sono perfetti. Nella mostra vengono presentati più di cento errori che hanno fatto la storia: ognuno di essi ispira il visitatore a vedere l’insuccesso come un passaggio fondamentale verso l’innovazione.

Succede anche ai migliori brand…

Gli errori dei brand possono essere molteplici: da una mancanza di coerenza identitaria a un fallimentare studio del mercato, fino a una funzionalità e un pricing poco strategici o a un naming inadeguato.
Naturalmente anche un design inappropriato miete le sue vittime, come quello di una maschera di bellezza, esposta al museo, che ricorda un film dell’orrore.

Dalle lasagne Colgate ai profumi Harley-Davidson

Per quanto riguarda il branding, un colossale tentativo di brand extension finito male è costituito dalle lasagne surgelate della Colgate, uscite sul mercato nel 1982.
I consumatori, di fronte al noto marchio, non sono riusciti a scindere l’universo alimentare da quello dell’igiene orale, immaginando lasagne al gusto di dentifricio: a fronte delle scarsissime vendite, il prodotto venne presto ritirato dal mercato.
Dall’altro lato, anche il senso di pulizia e freschezza garantito dai prodotti di Colgate risultò intaccato dall’associazione con le lasagne, tanto che la vendita dei loro dentifrici registrò un calo. Fu un fallimento su tutta la linea, nato da una scarsa consapevolezza in merito alle caratteristiche del proprio brand e ai valori ad esso associati.

Per un brand è quindi fondamentale conoscere e rispettare la propria identità, il proprio pubblico e l’immagine che questo percepisce del marchio.
Pensiamo ad Harley-Davidson che nel 1996, lanciando una fragranza da uomo, tradì quello spirito libero e “selvaggio”, tipico dei motociclisti, che fece la fortuna del suo brand.

New Coke, nuova consapevolezza

Non tutti i fallimenti vengono per nuocere, comunque: 36 anni fa, è stato un colossale “passo falso” della Coca Cola a permettere al brand di riconnettersi con i suoi consumatori.
Negli anni ‘80, una ricerca di mercato rivelò che molti consumatori preferivano il gusto della Pepsi, leggermente più dolce, a quello della Coca Cola. Venne così avviata la sperimentazione di una nuova versione della bevanda, organizzando dei focus group per testarla: la maggior parte dei partecipanti, a cui venne fatta assaggiare “a scatola chiusa”, la preferirono sia alla Pepsi, sia alla Coca Cola originale.

In occasione del centenario della multinazionale, la storica bevanda venne quindi sostituita da una sua versione più dolce, la New Coke, che debuttò nell’aprile 1985 in Canada e negli USA.


La sede della Coca Cola fu bombardata da migliaia di telefonate e lettere di protesta e, fra tentativi di boicottaggio e dichiarazioni di Fidel Castro, che definì la New Coke un segno della “decadenza capitalista americana”, una cosa divenne chiara a tutti: non si poteva cambiare radicalmente un prodotto che da cent’anni faceva parte della storia americana. A soli 79 giorni dal lancio della nuova bevanda, Coca Cola fu costretta a fare retromarcia, rimettendo in commercio la vecchia formula.

Nonostante i risultati dei focus group testimoniassero l’apprezzamento del nuovo gusto, il legame affettivo con la “vecchia” Coca Cola era molto più forte: poco conta il fatto che la New Coke fosse più dolce, gli americani volevano la stessa bevanda bevuta dai loro nonni e bisnonni. La querelle ebbe il merito di riavvicinare i consumatori alla Coca Cola in un periodo in cui rischiava di venir sorpassata dalla Pepsi: la sua breve assenza permise alle persone di rendersi conto di quanto la bevanda, nella sua versione originale, fosse importante nella loro vita. Coca Cola assunse degli psicologi per ascoltare le oltre 1500 telefonate giornaliere di clienti che rivolevano la vecchia Coke: l’analisi degli specialisti mise in luce come molte di queste fossero associabili, come tono ed espressioni utilizzate, ai discorsi di chi ha appena subìto un lutto in famiglia.
Perdendo la vecchia Coca Cola, i consumatori non persero solo una bevanda, ma una memoria personale e collettiva, un pezzo di storia americana.
Il brand, influenzato dalle tendenze del momento, si era messo a rincorrere il suo competitor, dimenticando il patrimonio storico e culturale che si portava dietro.
Come dichiarato da Donald Keough, che dirigeva la Coca Cola in quel periodo, la cosa migliore da fare era ammettere di aver commesso un errore. Nessuno è perfetto, l’importante è rimediare.

Per imparare a valorizzare l’identità del tuo brand, contattaci.

Articoli recenti

  • Le potenzialità di Pinterest, un social network in crescita
  • Social storytelling: 4 tecniche per scrivere post efficaci
  • Strategia STOP: Soluzione, Tempo, Omnicanalità, Partecipazione
  • Da Prime Video a Disney+, lo streaming viene prima di tutto

Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

Email marketing: ecco perché è importante per il tuo brand

10 Agosto 2021

In un mondo dominato dai social, la comunicazione via email è ancora una risorsa importante da integrare nella propria strategia di marketing.
Perché? Scopriamolo insieme!

Cos’è l’Email Marketing?

In pochissime parole, l’Email Marketing è una forma di marketing diretto che utilizza la posta elettronica come mezzo per diffondere contenuti aziendali a gruppi di clienti (privati e aziende), con obiettivi che variano dalla conversione alla fidelizzazione e alla brand awareness.
Questo tipo di comunicazione genera un filo diretto, personale e intimo con il cliente grazie alla possibilità di segmentare il proprio database di contatti, personalizzando ogni contenuto.

Il valore dell’email marketing

In uno scenario in continua evoluzione, l’email continua ad essere il mezzo preferito dai clienti per ricevere comunicazioni da parte delle aziende. Lo dimostra il picco di preferenze ricevute (72%) all’interno del grafico elaborato da uno studio di MarketingSherpa:

La posta elettronica viene quindi prediletta dal 91% dei marketers, che la utilizza come canale strategico principale (dati DMA UK, 2019), tanto che gli studiosi Steve Whittaker e Candace Sidner la considerano una delle applicazioni informatiche di maggior successo mai concepite.
Sebbene la posta elettronica non sia certo “nata ieri”, il mercato dell’email marketing è ancora in crescita, tanto che ci si aspetta un suo ulteriore sviluppo nei prossimi anni: dai 4,5 miliardi di dollari del 2017, si potrebbe passare a un giro d’affari di oltre 22 miliardi nel 2025.

Evidenziamo altri dati funzionali a comprendere i motivi per cui l’email marketing costituisce una risorsa importante all’interno di una strategia di comunicazione integrata:

– L’email è lo strumento di marketing digitale che genera il ROI (Return On Investment) più alto (4300% secondo lo studio Marketer email tracker 2018 di DMA), tanto che ogni euro speso offre un ritorno di 44 euro (dati Direct Marketing Association);

– L’email marketing ha un tasso di conversione del 17% più alto rispetto all’ advertising sui social network (dati McKinsey & Company);

– Per le PMI, le email sono il principale mezzo di fidelizzazione dei clienti, più efficace dei social media e della ricerca organica e a pagamento (dati Emarsys, 2018).

Email Marketing: caratteristiche e vantaggi

Accessibile, immediato, “push”

L’email marketing sfrutta uno strumento immediato e accessibile a tutti: la quasi totalità degli utenti che naviga sul web possiede una casella di posta elettronica, e la sua implementazione su mobile permette che la consultazione delle email avvenga quasi in tempo reale. Si tratta inoltre di uno strumento “push”, che spinge il messaggio verso il pubblico: attraverso l’email, il cliente può arrivare direttamente alla pagina in cui compiere l’interazione desiderata, senza ulteriori interferenze alla conversione.

Filo diretto con il cliente

Mentre sui social facciamo discorsi sostanzialmente pubblici, l’email rappresenta una comunicazione privata, un canale di marketing quasi “one to one” per il livello di personalizzazione che permette di raggiungere.
L’email è diretta, ma poco invasiva: ogni utente può aprirla con i propri tempi. La posta elettronica si presta bene sia a contesti colloquiali, sia formali, conferendo il giusto valore alle comunicazioni importanti.

Esclusività, legame, comunità

La creazione di una newsletter garantisce un senso di esclusività e legame con il brand, favorendo l’instaurarsi di un rapporto continuativo basato sulla fiducia e sulla confidenza: le email non contengono solo messaggi promozionali, ma anche contenuti di valore per gli utenti, che si sentono parte di una comunità.
Ad essere fondamentale è il fatto che gli iscritti abbiano scelto di far parte della lista dei contatti del brand, risultando ben disposti a fruire del contenuto inviato, al contrario di ciò che avviene con altre forme di marketing.

Copertura, tasso di risposta e di lettura

Un’email ha più possibilità di essere letta rispetto a un post sui social network: la prima ha una percentuale di lettura che si aggira attorno al 20%, mentre il secondo viene letto il 6% delle volte in cui viene visualizzato. È fondamentale ribadire, a questo proposito, che l’email ha una copertura più alta perché arriva direttamente nella casella di posta del destinatario, mentre la visualizzazione di un post sui social è soggetta a diverse variabili, fra cui l’algoritmo della piattaforma su cui viene pubblicato, e “sparisce” presto a causa del costante flusso di contenuti. L’email, al contrario, rimane in evidenza, nella casella del destinatario, fino a quando non viene aperta o eliminata. Grazie alle sue caratteristiche, l’email marketing può generare tassi di risposta fra i più elevati nel panorama degli strumenti e dei canali di web marketing.

Vantaggi pratici per le aziende

L’email marketing costa poco e, come abbiamo visto, porta un ottimo ritorno sull’investimento. Più il database di contatti aumenta e minore sarà, in proporzione, il costo di ogni singola email, garantendo un tasso di conversione sempre maggiore a parità di spesa.
L’invio richiede pochissimi secondi e porta a risultati quasi immediati: nell’80% dei casi, gli effetti di una campagna di email marketing potranno essere visibili nel giro di poche ore o di qualche giorno.

Fra le risorse più utili per le aziende c’è il fatto che le performance dell’email marketing siano facilmente tracciabili e misurabili: è possibile risalire ai tassi d’apertura delle email, al numero di click e di conversioni in tempo reale. Sulla base di questi risultati, è possibile studiare gli interessi e i comportamenti del proprio pubblico, ideando strategie sempre più efficaci.

Se vuoi sapere come strutturare una strategia di email marketing per il tuo brand, contattaci.

Articoli recenti

  • Gli errori dei brand, ecco come imparare dai fallimenti
  • Le potenzialità di Pinterest, un social network in crescita
  • Social storytelling: 4 tecniche per scrivere post efficaci
  • Strategia STOP: Soluzione, Tempo, Omnicanalità, Partecipazione

Filed Under: Campagne Marketing

Strategia STOP: Soluzione, Tempo, Omnicanalità, Partecipazione

9 Giugno 2021

Probabilmente conoscete già la regola delle 4P, elaborata da Jerome McCarthy nel 1960. Si tratta della strategia di marketing più classica, basata su Product (Prodotto), Price (Prezzo), Place (Punto vendita) e Promotion (Promozione).
Le 4P hanno dato vita al marketing mix, quella combinazione di variabili (o leve decisionali) che permettono ad un’azienda di mettere in atto una strategia di successo. Negli ultimi 60 anni abbiamo assistito a diverse varianti di questo mix, dalle 7P degli anni ‘90 alle 4C, che mettono al centro il cliente.
Oggi ci soffermiamo sullo schema recentemente proposto da Russ Klein, CEO dell’American Marketing Association, che si contrappone direttamente all’utilizzo delle 4P con una nuova strategia denominata STOP. Si tratta di un acronimo che comprende quattro concetti fondamentali, volti a sostituire le 4P: Solution (Soluzione), Time (Tempo), Omnichannel (Omnicanalità), Participation (Partecipazione).

Dal Prodotto alla Soluzione

“Nessuno vuole il tuo prodotto! Tutti vogliono una soluzione”, spiega Klein senza mezze parole. La prima P non è più così importante: tutto quello che i consumatori vogliono è una soluzione ai loro problemi. Anziché puntare sul prodotto, concentrati sul valore aggiunto che può portare nelle loro vite. Anziché decantarne le doti, dimostra quanto sia utile per i tuoi consumatori. La nostra società ha raggiunto un livello di benessere tale per cui le scelte di acquisto dei consumatori, di fronte ad un’offerta che supera di gran lunga la domanda, non sono più influenzate esclusivamente dalle caratteristiche intrinseche del prodotto o del servizio. Al centro di tutto c’è l’esperienza del cliente, alla ricerca di risposte semplici ai suoi problemi e ai suoi bisogni. Non a caso, Klein parla di experience design e spiega: “Henry Ford ha pensato a come rivoluzionare il concetto di viaggio, non a come costruire macchine”. Insomma: se un prodotto assolve al suo scopo (sia esso funzionale o emozionale), ha successo. Tutto il resto sono chiacchiere.

Dal Prezzo al Tempo

Il tempo è denaro, si dice. Ed è vero oggi più che mai. Nell’era del “tutto e subito”, la discriminante non è più il prezzo: il consumatore è disposto a pagare di più per un prodotto o un servizio che risolva il suo problema in modo rapido. Le persone vogliono risparmiare tempo ed energie, per questo cercano soluzioni semplici e veloci!
Se sappiamo che non sarà possibile fornire un prodotto o servizio in tempo breve, è sempre meglio comunicare in anticipo quanto tempo ci vorrà, in modo da non far percepire alcuna “perdita di tempo” da parte del cliente.

Dal Punto Vendita all’Omnicanalità

Considerare il Punto Vendita come uno step fondamentale di ogni strategia di marketing suona a dir poco anacronistico, nel 2021.
Oggi la terza P, che in inglese si riferiva al luogo (Place) in cui avviene la vendita, non può che riversarsi in una pluralità di luoghi, soprattutto virtuali. La customer journey si muove continuamente fra online e offline, tanto che un cliente, al negozio, può mettersi a cercare informazioni su internet e, un secondo più tardi, chiedere al commesso; poi tornare a casa, acquistare il prodotto online e passare a ritirarlo al punto vendita. Risulta quindi fondamentale essere presenti sul territorio e in rete (dal sito ai social, dal desktop al mobile), integrando tutti i canali a nostra disposizione.

Dalla Promozione alla Partecipazione

Oggi non si può più parlare di Promozione nel senso classico del termine: la comunicazione unidirezionale, “top down”, non funziona più. A funzionare è invece una comunicazione bidirezionale in cui il brand si mette allo stesso livello del consumatore e ne incoraggia la partecipazione. I social sono la piattaforma eletta per questo tipo di interazione: l’aveva intuito Chiquita oltre 10 anni fa con una campagna che, oltre a usufruire del nascente Facebook, metteva da parte il prodotto per concentrarsi su valori condivisi con una nuova fascia di potenziali clienti. “I consumatori non vogliono solo comprare, vogliono sentirsi compresi”, conclude Klein, sognando un mondo in cui “il marketing ha meno a che fare con la transazione economica e più che fare con il senso di appartenenza”.

Strategia STOP? Chiedi a noi!

Vuoi sapere come sfruttare la strategia STOP per il tuo brand? Contattaci!

Articoli recenti

  • Da Prime Video a Disney+, lo streaming viene prima di tutto
  • Presenza e rilevanza nel marketing, i casi Renault e Chiquita
  • Instagram Stories: come e perché usarle per il tuo brand
  • Ingmar Bergman e gli spot sul sapone, fra cinema e advertising

Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

Presenza e rilevanza nel marketing, i casi Renault e Chiquita

26 Maggio 2021

Rob Walker sostiene che le condizioni che rendono possibile il dialogo fra consumatore e oggetto di consumo siano la salienza e la rilevanza.
Di cosa si tratta?
Scopriamolo insieme prendendo in considerazione due case studies!

Salienza o rilevanza?

Per salienza si intende la conoscenza e la familiarità nei confronti del prodotto e del brand, che si ottiene attraverso la presenza nei media e, quindi, nella mente delle persone. La salienza passa, storicamente, per la ripetizione, che caratterizza oggi solo i più bassi esempi di comunicazione (pensiamo alle televendite).
Oggi, per imprimersi nella mente, e soprattutto nel cuore, dei consumatori, non basta essere fisicamente presenti: qui entra in campo la rilevanza.

Solo presenza, senza rilevanza: il caso Renault

Prendiamo in considerazione il caso di Renault, che negli anni ‘00 lancia una campagna a partire da una fase virale, basata sul creare curiosità intorno a un simbolo misterioso, che compariva ovunque (in tv, per strada, in rete, sui giornali), senza alcuna spiegazione.

Il passaparola funzionò molto bene: il simbolo, dal sapore tribale e quindi facilmente riconducibile al concetto di legame comunitario, portò molti ad immaginare che si trattasse di un nuovo movimento politico estremista, magari legato ai no-global. Nella fase successiva della campagna, al simbolo si unì un indirizzo internet a cui collegarsi, community-c.com.
Gli utenti si collegarono in massa alla community, solo per rimanere profondamente delusi nello scoprire che si trattava di un sito ludico dedicato ad un’auto, la Renault Clio.

La campagna si sarebbe dovuta basare sul fatto che “le sensazioni provate a bordo di una Clio sono un’esperienza unica, in grado di creare complicità fra tutti quelli che hanno vissuto la stessa esperienza, una sorta di sentimento comunitario”: peccato che, ad unire queste persone, era l’ideale quasi anarchico a cui il misterioso simbolo sembrava rimandare, non certo la passione per l’auto.

Renault ha quindi saputo essere presente, ma non rilevante, compiendo l’errore di pensare che ogni comunità fosse unita dagli stessi valori, per cui “una vale l’altra”. Niente di più sbagliato, tanto che nessuno è rimasto soddisfatto da quest’operazione: da un lato gli utenti che si sono collegati alla piattaforma si sono sentiti raggirati da quella che, ai loro occhi, è apparsa come un’operazione meramente commerciale, dall’altro le vere comunità online di appassionati di Clio si sono risentite nel non essere state prese in considerazione dall’azienda. Il tentativo di creare una “Clio Community” attorno alla campagna si è rivelato, dunque, fallimentare.

Presenza e rilevanza: il caso di Chiquita

Il bollino blu del marchio di banane Chiquita, introdotto in Europa nel 1963, diventa presto simbolo di attenta selezione e qualità superiore, come esplicitato dal fortunato claim “10 e lode”.

Ai fini della nostra analisi, vogliamo parlare de “Il mio 10 e lode”, un progetto di comunicazione integrata del 2007 che si poneva un obiettivo ambizioso: trasferire i valori di Chiquita a un gruppo di persone che non acquistavano direttamente i suoi prodotti, ossia gli adolescenti e i giovani adulti.

Come essere rilevanti per questa fascia di pubblico?
Spostando il focus dal prodotto ai giovani consumatori, rigirando il claim a loro favore: “Qual è il vostro 10 e lode?”. È questa la domanda che il marchio ha posto ai ragazzi, abbandonando l’approccio top-down (azienda-consumatore) in favore di una relazione biunivoca, non invasiva, che stimolasse l’interazione con il marchio.

Vennero distribuiti migliaia di bollini blu che non riportavano direttamente il nome del brand, anche se l’associazione visiva era evidente.
L’invito era “Il bollino blu mettilo tu”: in questo modo, Chiquita ha trasferito il suo potere alle persone, permettendo che fossero loro a decretare cosa fosse di qualità nella loro vita, anziché subire un’idea imposta da terzi.
Chi apponeva il bollino era invitato a scattare foto e inviarle a Chiquita, che le ripubblicava in una pagina apposita sul proprio sito web.

In nessun momento della campagna venne mai incentivato l’acquisto del prodotto, ma sempre e solo la partecipazione all’iniziativa, che è stata fondamentale per creare un senso di comunità e di aderenza al valore più profondo del marchio.
Grazie a questa campagna, Chiquita ha saputo rispondere sia alle esigenze di presenza, sia a quelle di rilevanza, resistendo alla tentazione di creare associazioni dirette con il brand e/o forzare l’acquisto del prodotto.

Mettendo in luce la rilevanza del concetto di qualità nella vita quotidiana dei propri consumatori, Chiquita ha saputo instaurare con loro una relazione profonda. La campagna ha fatto scuola, anticipando l’importanza che gli user generated content hanno assunto oggi nella comunicazione social.

Vuoi sapere come strutturare una campagna rilevante per il tuo pubblico? Contattaci.

Articoli recenti

  • Instagram Stories: come e perché usarle per il tuo brand
  • Ingmar Bergman e gli spot sul sapone, fra cinema e advertising
  • Clubhouse: cos’è e come funziona il social network della voce
  • Marketing e archetipi: che tipo di brand sei?

Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

  • « Go to Previous Page
  • Page 1
  • Page 2
  • Page 3
  • Page 4
  • Page 5
  • Interim pages omitted …
  • Page 10
  • Go to Next Page »

Copyright © 2025 Flyingminds Adv ·Via Giovanni Nizzola 2, 6900 Lugano (Ch) +41 919113517 · marketing@flyingminds.ch