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Agenzia di comunicazione

Campagne Marketing

Marketing e archetipi: che tipo di brand sei?

29 Marzo 2021

Il termine “archetipo” deriva da archè, che significa principio, origine, e typos, che significa modello, impronta. In poche parole, si tratta di idee innate, rappresentazioni mentali che fanno parte dell’uomo sin dalla sua nascita. Non è un caso che ogni tipo di narrazione attinga, fin dalla notte dei tempi, proprio da questi schemi. Appare naturale, quindi, che anche il marketing possa giovare da queste rappresentazioni così profondamente radicate nell’inconscio collettivo.

I 12 archetipi di Gustav Jung

Ad aver studiato il fenomeno è soprattutto lo psicoterapeuta Carl Gustav Jung, che ha individuato 12 archetipi nella costruzione dei personaggi all’interno delle narrazioni.
Tali archetipi attivano emozioni ricollegabili a quattro fondamentali motivazioni umane:

  • Appartenenza: il bisogno di identificarsi, di sentirsi parte di un gruppo.
  • Stabilità: il bisogno di avere punti fermi, un senso di continuità con il passato.
  • Cambiamento: il bisogno di volgere lo sguardo al futuro, rompere lo status quo.
  • Indipendenza: il bisogno di tendere all’individualità.

È sulla base di questi bisogni che si costruiscono gli archetipi, associabili ai brand in un’ottica di storytelling.

Il Saggio

Il brand saggio è un libero pensatore che mette al centro di tutto la sua razionalità. Il suo obiettivo è osservare e comprendere il mondo, guidare gli altri in un viaggio di scoperta.
Alcuni esempi: Audi, Google, Philips.

L’Esploratore

Il brand esploratore ricerca l’autenticità e promette nuove esperienze. Punta sul senso di avventura, sulla sfida che ti porta a metterti alla prova e a scoprire qualcosa in più di te stesso.
Alcuni esempi: Patagonia, North Face, Marlboro.

L’Innocente

Il brand innocente è caratterizzato da ottimismo e semplicità, purezza, genuinità. È un sognatore, con una visione idealizzata del mondo. Desidera compiacere gli altri, è affidabile e onesto.
Alcuni esempi: Mulino Bianco, Dove.

L’Eroe

Il brand eroe è coraggioso e sicuro di sé. Non sopporta di perdere e non si arrende mai, diventando fonte d’ispirazione per gli altri.
È un archetipo molto presente nei brand che hanno a che fare con lo sport, come Nike e Gatorade.

Il Mago

Il brand mago è un visionario, un creativo che, con immaginazione e arguzia, trasforma costantemente sé stesso e il mondo che si trova davanti.
Alcuni esempi: Disney, Red Bull.

Il Ribelle

Il brand ribelle è un provocatore: vuole sfidare il mondo e infrangere le regole. Fa di testa sua, non gli importa di cosa pensano gli altri. Preferisce essere temuto che amato.
Alcuni esempi: Harley-Davidson, Diesel, Moschino.

Il Burlone

Il brand burlone esprime energia e divertimento. Ama ridere, anche di se stesso. È originale, irruento e irriverente. Vuole godersi la vita senza prendersi troppo sul serio, e coinvolge tutti.
Alcuni esempi: Fanta, M&Ms.

L’Uomo Comune

Il brand uomo comune è onesto e semplice, con un approccio umile, empatico e “terra a terra”, dotato di senso pratico.
Tiene molto all’appartenenza, al legame con le altre persone.
Alcuni esempi: Facebook, eBay, IKEA.

L’Amante

Il brand amante è passionale, sensibile e audace. Regala lusso, piacere ed emozioni intense. Apprezza la bellezza in tutte le sue forme. Alcuni esempi: Nespresso, Müller e Alfa Romeo.

L’Angelo Custode

Il brand angelo custode è generoso, protettivo, premuroso e affidabile. È altruista e compassionevole, empatico e solido, con un grande attaccamento all’ambiente domestico, alla famiglia.
Alcuni esempi: Barilla, Volvo, Mellin.

Il Sovrano

Il brand sovrano fa parte dell’élite: esercita il controllo, detta le regole, è padrone della situazione. È potente, autoritario, esigente. Impone la sua visione.
Alcuni esempi: Mercedes, Rolex, American Express.

Il Creatore

Il brand creatore è anticonformista ma, a differenza del Ribelle, non lo fa per provocare, ma per esprimere sé stesso.
È attento alla creatività, alla libertà di espressione, all’innovazione.
È un sognatore, ma concreto. Alcuni esempi: Apple, Lego.

Archetipi e brand: qualche consiglio

Nel ragionare in merito a quale archetipo si avvicina maggiormente al tuo brand, ricorda che:

  • L’archetipo non è un set di regole da seguire pedissequamente, ma può aiutarti a esprimere la personalità del tuo brand in diverse situazioni, individuando il tono di voce e il piglio con cui affrontare le situazioni che ti si presenteranno davanti.
  • È normale che il tuo brand possa aderire a più di un archetipo, ma non esagerare!
    Il massimo è due o tre, altrimenti si rischia di apparire schizofrenici.
  • Non esistono archetipi positivi o negativi: la scelta non dovrà essere compiuta sulla base di una simpatia, ma di una riflessione più profonda.

Vuoi sapere quale archetipo si addice maggiormente al tuo brand?
Contattaci.

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Filed Under: Campagne Marketing

Si odia o si ama: Superga e l’importanza di prendere una posizione

10 Febbraio 2021

Si odia o si ama era il claim di una serie di spot di Superga che invasero la televisione italiana a metà degli anni ’90, segnando una generazione.
La campagna, ad opera dell’agenzia Lowe Lintas Pirella Göettsche, mirava a riportare in auge lo storico marchio torinese di scarpe da ginnastica per mezzo di una serie di spot di appena un minuto, girati in bianco e nero.
Noi vogliamo soffermarci su uno di questi, diretto da Tarsem Singh.

Si odia o si ama, il celebre spot del 1996

Un uomo in giacca e cravatta, presumibilmente un “pezzo grosso” di qualche azienda, siede sul sedile posteriore di un’auto di lusso, mentre fuori imperversa il caos: un gruppo di uomini che indossano inquietanti maschere animalesche stanno manifestando, bloccando la strada. La protesta sfocia in una furibonda guerriglia urbana e le forze dell’ordine rispondono con percosse, fumogeni e colpi di manganello. Ad un certo punto, sul cofano dell’automobile del ricco signore si abbatte un rimostrante con una maschera da coniglio.
I due si guardano negli occhi per qualche istante, poi un agente afferra il manifestante che, nel tentare la fuga, perde una scarpa, una Superga.
Con uno stacco ci ritroviamo a casa dell’uomo, siamo nel pieno della più classica cena in famiglia. Il figlio maggiore, mentre bacia la madre, spinge intenzionalmente a terra il quotidiano poggiato sulla tavola. Il padre si china a raccoglierlo, notando che alla figlia manca una delle due Superga.
Lui guarda lei, lei ricambia lo sguardo con occhi carichi di sfida.
Appaiono marchio e payoff: Superga. Si odia. O si ama.

Cosa ci insegna lo spot di Superga

Cos’ha da insegnarci questo spot, a 25 anni dalla sua uscita?
Tante cose, ma soprattutto l’importanza di prendere una posizione, per i consumatori e, di conseguenza, per i brand.

Come recita il payoff, Superga non ammette vie di mezzo: o si ama o si odia.
Allo stesso modo, lo spettatore può provare amore per uno dei due personaggi e, di conseguenza, odio per l’altro.
Prendendo in prestito due celebri archetipi narrativi, possiamo parlare dell’eroe e della sua ombra: sono figure strettamente legate in quanto l’una è la proiezione positiva o negativa dell’altra.

Ecco, quindi, che si delineano due possibili interpretazioni:

L’eroe è la ragazza che protesta per quella che immaginiamo essere una buona causa, mentre il padre è l’ombra (forse è proprio contro la sua azienda che lei stava protestando?).
L’eroe è il padre, un industriale che compie il proprio dovere ogni giorno, mentre l’ombra è la figlia, che protesta alle sue spalle.

L’ambiguità della rappresentazione lascia carta bianca allo spettatore. La forza evocativa dello spot, che è perfino andato incontro a censure (la Rai si è rifiutata di trasmetterlo), sta proprio nel fatto di mettere in scena una contrapposizione nella quale il pubblico può riconoscersi, parteggiando per il padre o per la figlia.

Ma la rivoluzione più grande sta nel fatto che anche lo stesso marchio prende una posizione: tornando alla dimensione narrativa, la perdita della scarpa, come nella celebre fiaba di Cenerentola, simboleggia una prova affrontata, identificando la ragazza come unico vero eroe agli occhi del brand.
In questa cornice, Superga diventa quindi un simbolo di ribellione, trasgressione, anticonformismo.

La contrapposizione messa in scena dallo spot può assumere diverse valenze: si tratta di uno scontro fra classi sociali e stili di vita, ma anche fra diverse generazioni. A risultare particolarmente pregnante è stato proprio quest’ultimo aspetto, accentuato dalle note distorte di Firestarter, hit dei Prodigy che stava spopolando fra i teenager di tutta Europa, diventando una proiezione delle loro inquietudini adolescenziali.
Nello spot, la colonna sonora partecipa alla narrazione in modo complementare, totale: quelle sonorità così estreme e ansiogene riecheggiavano nelle case degli italiani come unghie che stridono sulla lavagna, aderendo perfettamente alle immagini mostrate.

Cosa possiamo imparare da questo spot, quindi?
Partiamo da un assunto: come brand sappiamo di non poter “piacere” a tutti, ma spesso dimentichiamo che non abbiamo bisogno di “piacere” a tutti, anzi.
Più ci distinguiamo, senza paura di alienare una fetta di pubblico, e più il messaggio risulta forte e convincente per i nostri consumatori, quelli a cui davvero piacciamo.

Per gestire al meglio la comunicazione e l‘immagine del tuo brand, rivolgiti a noi.

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Bias cognitivi: cosa sono e come usarli nel marketing

11 Gennaio 2021

I bias cognitivi sono interpretazioni soggettive e distorte della realtà che influenzano i processi decisionali dei consumatori: scopriamo come utilizzarle nel marketing!

Anchoring Effect (Effetto Ancoraggio)

Questo bias si riferisce al fatto che, quando dobbiamo prendere una decisione, veniamo influenzati dalla prima informazione che entra in nostro possesso, nonché dalla prima impressione che ne ricaviamo.
Infatti, quando decidiamo di acquistare un prodotto e facciamo delle ricerche online, il primo risultato è sempre il più importante, il parametro che utilizziamo per valutare tutte le offerte disponibili. Ad esempio, se il primo risultato presenta un prezzo di 80 euro, una successiva offerta di 60 euro ci sembrerà estremamente conveniente, così come una di 100 euro ci risulterà eccessivamente onerosa.
Questo può tornare utile nelle tabelle di pricing: elencare i prezzi a partire dal più alto permette di ancorare la percezione del valore del prodotto ad una cifra più alta, facendo automaticamente percepire come più convenienti gli altri piani tariffari.

Sempre secondo questa logica, può risultare efficace riportare un doppio prezzo: il prezzo originario barrato funge da ancoraggio nella mente del consumatore, rendendo il prezzo finale ancora più conveniente. Possiamo fare l’esempio storico della presentazione dell’iPad nel 2010: nel suo discorso, Steve Jobs affermò che tale prodotto, per le sue caratteristiche e la tecnologia impiegata, avrebbe dovuto avere un prezzo di 999 euro, ma che la Apple, per favorirne la diffusione, l’avrebbe immesso sul mercato al prezzo di 499 euro.

Allo stesso modo, anche offrire un accessorio aggiuntivo a seguito di una spesa particolarmente elevata può risultare efficace: dopo aver acquistato un cellulare a 1000 euro, una sua custodia risulterà conveniente anche se presenta un prezzo superiore a quello di mercato.

Bandwagon Effect (Riprova Sociale)

Questo bias ha a che fare con il comportamento di massa: quando dobbiamo prendere una decisione, tendiamo a fidarci della maggioranza. 
Il Bandwagon Effect può essere sfruttato nel marketing mettendo in bella vista le recensioni degli utenti, consultate dal 90% degli acquirenti online, e facendo uso di claim che evidenziano il numero di copie vendute, il clamore creatosi attorno a un nuovo prodotto, etc.

Simile è il bias dell’ingroup, secondo cui tendiamo a fidarci delle opinioni di gruppi simili a quello a cui noi apparteniamo: le testimonianze funzionano di più se arrivano da persone che riteniamo vicine al nostro nucleo, o che addirittura conosciamo direttamente.

Loss Aversion (Avversione alla Perdita)

Secondo questo bias, la paura della perdita è più potente della felicità che porterebbe il guadagno. Lo si può sfruttare nel marketing mediante l’inserimento di countdown, l’immissione sul mercato di prodotti in edizione limitata e l’utilizzo di claim come “Ultimo pezzo disponibile”.
 A sfruttare questa strategia sono ad esempio i servizi di prenotazione come Booking, che utilizzano avvisi come “Solo 2 camere rimaste”, “Prenota ora, i prezzi potrebbero aumentare”, “L’offerta scade tra 2 ore”, etc.

Effetto Framing (Effetto di inquadramento)

Un altro bias cognitivo di grande importanza è il framing, che induce il nostro cervello a valutare le informazioni per come ci vengono presentate: ad esempio, a livello di comunicazione, sostenere che un medicinale ha effetti benefici per l’80% dei casi è sicuramente più efficace di affermare che ha effetti negativi per il 20% dei casi, anche se la proporzione è esattamente la stessa.

Effetto Decoy (Effetto Esca)

Questo bias dimostra che la preferenza di scelta tra due opzioni cambia a seguito dell’aggiunta di una terza opzione meno desiderata.
 Immaginiamo di voler acquistare un prodotto: nella proposta del nostro venditore ci sono due modelli, uno a 100 euro e uno a 150; in questo caso, saremmo portati a scegliere il primo. Ma se l’offerta si arricchisce con un terzo modello a 200 euro, la nostra attenzione si sposta sulla differenza di prezzo fra il prodotto intermedio e quello superiore, portandoci a scegliere quello di mezzo.

Effetto di mera esposizione (Mere exposure effect)

Questo bias si riferisce al fatto che siamo portati ad esprimere una preferenza per qualcosa che ci risulta familiare.
 Questo porta alcuni brand a creare loghi che ricordano altre aziende più blasonate, in modo da risultare più rassicuranti.


Bias cognitivi -logo-mera esposizione

Se questa strategia può risultare un’arma a doppio taglio, minando la propria riconoscibilità, anche il semplice fatto di ripubblicare gli stessi contenuti su tutte le nostre piattaforme (sito, social, etc) sfrutta questo bias: “colpire” più volte la stessa persona con lo stesso contenuto mira a renderlo familiare ai suoi occhi.

Bias e marketing: chiedi a noi!

Oltre a questi bias, ne esistono diversi altri: vuoi sapere come sfruttarli per la tua strategia di marketing?
Ti aiutiamo noi, contattaci!

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Social Media Listening: cos’è e perché è importante

2 Ottobre 2020

Cos’è il Social Media Listening?

Nella vita di tutti i giorni, saper ascoltare è una dote fondamentale per comprendere a fondo i pensieri e le esigenze delle persone che ci stanno attorno. Questo concetto è centrale nel marketing, in cui la la conoscenza del pubblico di riferimento è la chiave per comunicare con efficacia: per tracciare la strategia più adatta, ci viene in aiuto il Social Media Listening, che comprende tutte le attività volte a individuare, tracciare e analizzare le conversazioni online inerenti un brand, i suoi prodotti e i suoi servizi.

Social Media Listening: perché è importante?

Inizialmente, il Social Media Listening era utilizzato esclusivamente per prevenire e gestire situazioni di crisi. 
In seguito, il marketing ne ha riconosciuto il potenziale strategico e ha cominciato a farne uso per ottenere insight, ovvero informazioni in merito a ciò che gli utenti vogliono e cercano online. Questi dati ci permettono di ottimizzare le campagne marketing e identificare nuovi modi per raggiungere e coinvolgere i consumatori.

Controllare la reputazione online di un brand è quindi fondamentale per comprendere la percezione che gli utenti hanno dell’azienda e dei suoi prodotti, un punto di partenza sulla base del quale impostare le proprie strategie.
Insomma, in un’epoca in cui gli utenti si esprimono liberamente sul web, non abbiamo più scuse: dobbiamo saper ascoltare.

Alla base del Social Media Listening c’è quindi il Social Media Monitoring, attività volta a monitorare ogni menzione del brand e dei prodotti o servizi ad esso associati. Oltre ad hashtag e keywords, si possono monitorare anche intere frasi, ad esempio associando il nome del brand a elementi come “non funziona” al fine di rintracciare eventuali problemi riscontrati dai consumatori.

Come sappiamo, oggi è molto più probabile ricevere domande, opinioni, suggerimenti e reclami su Facebook o su Twitter piuttosto che al telefono o per email: per questo motivo, il Social Media Listening si rivela fondamentale anche a livello di customer service. 
Attenzione, però: sui social, gli utenti esigono tempi di risposta molto brevi. Secondo alcuni utenti Twitter, la risposta dovrebbe arrivare entro mezz’ora, per altri va bene anche dopo un giorno; su Facebook si è più intransigenti: il 29% degli intervistati indica le due ore come limite massimo.

È quindi fondamentale monitorare ogni richiesta al fine di evaderla nel minor tempo possibile.

A questo scopo, è importante prendere in considerazione che, quando gli utenti si rivolgono a un brand, non è detto che utilizzino una menzione diretta (ad esempio, il 30% dei tweet che menzionano il brand non utilizzano il simbolo @), e non è detto che scrivano correttamente il nome dell’azienda: è quindi necessario fare ricerche prendendo in considerazione il nome dell’azienda e i più frequenti errori di battitura ad esso legati.

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Creatività dinamiche interattive, il caso McDrive di McDonald’s

15 Settembre 2020

Creatività Dinamiche, cosa sono

Per Dynamic Creative Optimization+ (DCO+), in italiano Ottimizzazione delle Creatività Dinamiche, si intende la personalizzazione di annunci pubblicitari in base ai dati dell’utente.

Le informazioni dinamiche vengono compilate in tempo reale: si tratta ad esempio delle parole del testo, dei colori, delle dimensioni e del posizionamento degli elementi grafici, che cambiano a seconda dell’utente.
Tale personalizzazione è possibile grazie alla raccolta di dati, fra le risorse più competitive del mercato attuale, e alla tecnologia machine learning, che permette agli annunci di cambiare continuamente a seconda delle preferenze e della cronologia di navigazione di ogni singolo utente.

Il segreto sta nel mostrare il messaggio giusto alla persona giusta nel momento e nel luogo giusto, favorendo la conversione senza compromettere l’ampiezza del target raggiungibile.

Creatività Dinamiche, il caso McDrive

A sfruttare i benefici delle Creatività Dinamiche Interattive sono Connected-Stories, OMD e Leo Burnett Company, che lanciano la prima campagna video interattiva di McDonald’s, di cui potete visualizzare una preview a questo indirizzo.

Si tratta di una serie di formati dinamici e personalizzati, in grado di mostrare – a lato del video – alcune delle offerte disponibili, scelte sulla base del comportamento dell’utente e dell’audience di cui fa parte.


SIKS-ADV-Creatività dinamiche interattive-mcdrive-omd

Inoltre, ogni utente ha la possibilità, grazie a una mappa interattiva, di visualizzare il McDrive più vicino rispetto alla propria geolocalizzazione.


SIKS-ADV-Creatività dinamiche interattiv-McDrive3

Con la campagna McDrive, l’azienda dimostra di saper rispondere alle esigenze del pubblico online, che esige una user experience fluida, coinvolgente, personalizzata e interattiva.

Inoltre, la tipologia di campagna permette di monitorare in modo granulare le performance di ogni singola creatività, raccogliendo preziosi insights sull’audience e sul comportamento degli utenti al fine di ottimizzare non solo l’aspetto creativo, ma anche la strategia di investimento lato DV360.

Il caso preso in considerazione apre a possibilità di targeting finora mai sfruttate appieno, soprattutto in Italia, permettendoci di avere un quadro delle strategie da percorrere e sviluppare nei prossimi mesi, e nei prossimi anni.


SIKS-ADV-Creatività dinamiche interattiv-McDrive2

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Filed Under: Advertising, Campagne Marketing, Internet & New Media, Social Media

COVID-19: le aziende ripartono dal digitale

23 Aprile 2020

È inutile girarci intorno, la pandemia di COVID-19 ha cambiato il mondo.
In un contesto così inusuale, ci rivolgiamo al digitale, imparando a scoprirne nuove, infinite potenzialità. È proprio di questi giorni la notizia dell’app Immuni, realizzata per “tracciare” i contagi di COVID-19, oggetto delle polemiche di chi ritiene possa mettere a rischio la privacy dei cittadini.
Tuttavia, non utilizziamo gli strumenti digitali solo per informarci sul COVID-19, ma anche per cercare di sfuggirgli, di riavvicinarci alla normalità. 
Ed è proprio dal digitale che possiamo e dobbiamo ripartire, come cittadini e soprattutto come aziende.

L’esempio della Cina

La lezione che ci arriva dalla Cina, primo paese colpito dal COVID-19, è chiara: a sopravvivere sono le aziende con una forte impronta digitale, che riescono a rispondere prontamente al cambiamento dei comportamenti dei consumatori.
Possiamo fare un esempio legato all’industria automobilistica: Baic Bjev e Jetour hanno rimpiazzato Toyota e Honda alla terza e quarta posizione nella Top 5 dei principali “player” sul mercato cinese proprio perché sono riusciti a creare un’esperienza di acquisto online di valore per i consumatori, in un periodo in cui non c’erano showroom “fisici” dove potersi recare.


Nuove abitudini

Il digitale ci ha portato ad assumere nuovi comportamenti, che stanno diventando abitudini, e che devono essere quindi presi in considerazione dalle aziende non solo durante l’emergenza, ma anche dopo, perché la “normalità” a cui torneremo non sarà la stessa a cui eravamo abituati. Si tratterà di una “nuova normalità”, che vedrà al centro proprio un maggiore utilizzo degli strumenti digitali, e che qui cerchiamo di riassumere in tre punti, fondamentali nella vita di ognuno di noi: lavoro (o scuola), alimentazione e intrattenimento.

Work

Per quanto riguarda il mondo del lavoro, la pandemia si è rivelata essere un’involontaria campagna di sensibilizzazione in merito ai vantaggi dello Smart Working, pratica a cui le aziende italiane hanno dovuto adeguarsi in fretta e furia a seguito delle indicazioni del Governo. Da un giorno all’altro, hanno dovuto confrontarsi con una realtà le cui potenzialità venivano troppo spesso ignorate. Lo Smart Working ha “obbligato” le aziende a fare i conti con strumenti come gli archivi Cloud, per poter accedere a file e documenti da remoto, o programmi per le videochiamate e le videoconferenze. Il risultato, per molte aziende, è stato quello di giungere alla consapevolezza che, in fondo, lo Smart Working non è poi così male, e che i supposti “limiti” tecnologici sono decisamente superabili.
Indubbiamente, nel mondo post-COVID-19, le aziende avranno meno problemi a concedere ai propri dipendenti di lavorare da casa, ma sarà necessario fare ulteriori passi avanti nel processo di digitalizzazione, mettendo a frutto metodi sempre più efficienti per valutare e quantificare l’operatività dei lavoratori da casa.
Insomma, non tutto il male viene per nuocere: la pandemia si è rivelata essere la “spinta” giusta per accelerare un processo di “trasformazione digitale” troppo a lungo posticipato, soprattutto in Italia.
Allo stesso modo, anche scuole e università hanno cercato di adattarsi nel più veloce tempo possibile alla situazione di emergenza, fornendo la possibilità di seguire le lezioni online. Questo ha permesso agli studenti, ma soprattutto al personale scolastico, di familiarizzare con strumenti che prima potevano sembrare decisamente ostici, e che oggi risultano invece essere parte della nostra vita quotidiana.
 Si prospetta quindi, per il futuro, una crescita nel settore dell’e-learning, settore con il quale gli italiani stanno rapidamente prendendo confidenza.

Eat

Con l’obbligo di rimanere a casa, si è intensificato l’interesse per le consegne a domicilio, che permettono a molte attività commerciali del settore alimentare di “sopravvivere” in questo periodo. Questo trend evidenzia una maggiore familiarità degli italiani con e-commerce e app come JustEat e Deliveroo. Sicuramente, al termine dell’emergenza, il trend procederà, e le aziende dovranno farsi trovare preparate. Da tenere in considerazione, di conseguenza, lo sviluppo di piattaforme di e-commerce, per rispondere a un trend che ha subito un’enorme crescita e che, superata l’emergenza, non riguarderà solo il Food Delivery e l’e-grocery. Per farvi un’idea, sappiate che, secondo una ricerca di Netcomm, il 75% degli italiani che hanno acquistato online nel mese di marzo 2020 non l’aveva mai fatto prima. 
E in fondo non è la prima volta che un virus contribuisce alla diffusione degli acquisti online: era già successo in Cina con lo scoppio della SARS nel 2002-2003.

Fun

I programmi di videochiamata possono tornare utili non solo per lavoro, ma anche per passare del tempo con gli amici. Il concetto base è quello di interagire in tempo reale: è per questo che Instagram, in tempo di quarantena, pullula di utenti che interagiscono fra di loro e con i propri follower tramite le cosiddette “dirette Instagram”, realizzate spesso in gruppo.
A seguire il trend ci sono i ‘personaggi’ più svariati, da Jo Squillo che fa impazzire tutti con i suoi energici DJ set a Papa Francesco con la Santa Messa in diretta. 
C’è anche chi, come Jovanotti e Fabio Volo, sulle dirette costruisce quasi un programma vero e proprio, e sicuramente il grande concerto One World: Together At Home, organizzato da Lady Gaga per raccogliere fondi per l’OMS, avrebbe riscosso ancora più successo se le esibizioni dei cantanti, registrate nel comfort delle loro case, fossero state in diretta su Instagram.
Sempre l’escamotage della diretta sembra poter essere una soluzione, almeno temporanea, per alcuni degli eventi di intrattenimento che sarebbero altrimenti da posticipare o annullare a causa della pandemia. A risultare fondamentale è, naturalmente, la possibilità degli utenti di interagire con ciò che vedono. Non è da escludere, quindi, che possa nascere un nuovo mercato per la Realtà Aumentata e per la Realtà Virtuale, già fra i trend del 2020, proprio al fine di aumentare il coinvolgimento degli spettatori. Questa tecnologia potrebbe quindi finalmente trovare la sua consacrazione, magari come accompagnamento alle visite virtuali dei più importanti musei italiani.

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