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Campagne Marketing

Cannes Lions 2019: i migliori spot vincitori appartengono al sociale

1 Luglio 2019

Sì, c’è un olimpo dorato a cui tutti i team creativi puntano, che seguono e da cui prendono spunti per quei trend che detteranno legge nelle campagne advertising a venire: i Leoni di Cannes, il Festival Internazionale della Creatività in pubblicità.
Sette intensissimi giorni sulla Croisette della città francese, presso il Palais des Festivals et Congrès.
Un appuntamento che si sussegue dal 1854, che ha visto passarsi il testimone tra ben 30.000 iscritti e oltre 90 paesi in gioco. Il tutto, ovviamente, culmina, come nella migliore delle creazioni, il settimo giorno, con la celebre premiazione delle migliori campagne e dei migliori concept.

Dopo questa breve ma doverosa introduzione, dedicata a chi, in caso, ancora non conoscesse la kermesse, possiamo addentrarci nel clou della questione: i vincitori 2019, ovviamente visti dagli occhi di Siks ADV!

I migliori spot: la nostra top 3 è per il sociale

    • Google Creatability: più che un’ADV, una vera e propria idea permeante che consente di tradurre in tech e intelligenza artificiale le attività più creative – come musica e disegno – per persone con disabilità. Un esempio? Quello illustrato da Chancey Fleet, accessibily advocate in Google, che racconta la possibilità – per chi non vede – di disegnare su schermo attraverso una mappatura del movimento del corpo, oltre alla possibilità di ricevere in tempo reale una descrizione di ciò che si sta disegnando. Una metodologia applicabile anche alla musica, con la stessa modalità, per scegliere campioni di strumenti differenti e comporre il proprio brano.
    • Ikea Pax for this able: pratico, effettivo, semplice. Più che uno spot, una dimostrazione. Venti secondi, un mobile Pax bianco, uno sfondo giallo, e Pavel che testa la nuova soluzione Ikea, la maniglia ideata per portatori di handicap. Insomma, nulla di troppo stupefacente: fino all’arrivo del payoff finale, “this able”, gioco di parole che rende abile chi prima non poteva compiere con facilità un’azione per molti banale. E questo payoff è diventato il nome di una linea di strumenti facilitatori a cui il brand ha dedicato anche un sito web ad hoc.
    • Nike – Dream Crazy: un vibrante susseguirsi di emozioni, in due minuti di girato e in pieno stile Nike. Un susseguirsi serratissimo di fotogrammi dove “dream crazy”, titolo e payoff del video, racconta come lo sport sia accessibile a tutti, rappresentando un mezzo attraverso cui appianare ogni divergenza e ogni differenza che la società sottolinea. La particolarità? La storia che scandisce il montaggio è raccontata dal quarterback Colin Kaepernick, discriminato ed espulso dal campionato di football americano nel 2016 per essersi inginocchiato durante l’inno, denunciando così il razzismo dilagante nello sport più amato degli USA.

E l’Italia?

Tanti premi per il bel paese: l’Italia ha vinto per lo più nelle categorie social o brand experience, e l’agenzia Pubblicis di Milano si è aggiudicata un bell’en plein con ben tre campagne premiate. Uno di questi piccoli grandi capolavori ha catturato la nostra attenzione: si tratta dello spot Leroy Merlin “Lessons for good”, un girato di oltre due minuti ambientato nei retail Leroy Merlin che punta il tutto per tutto su una maratona di solidarietà. Perché il brand di hobbistica e casa francese ha fatto del contenuto free, come i suoi workshop gratuiti, un forte punto di valore. E con questo spot sicuramente il messaggio arriva forte e chiaro!

Tiriamo le somme

Un’edizione, quella del 2019, che ha visto un vero e proprio cambiamento di consapevolezza e di tematiche. Perché i Cannes Lions hanno premiato la tematica sociale, e la consapevolezza da parte dei brand di quanto sia importante analizzare la realtà, le sue problematiche, le sue sfaccettature: perché solo così si può mirare a un miglioramento collettivo. E perché la comunicazione non può più essere solo una vetrina, ma diventa, giorno dopo giorno, una fonte di informazione creativa ed efficace, sempre più.

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“Respecting your competitor, is respect for yourself”: l’umile lezione advertising di BMW

5 Giugno 2019

“Respecting your competitor, is respect for yourself” è il titolo dell’insolita, avventurosa campagna advertising ideata dal team interno di BMW per salutare – con un omaggio nel miglior stile del brand – lo storico CEO della rivale Mercedes-Benz Dieter Zetsche, a capo dell’azienda per quasi 15 anni: un uomo di comunicazione e di azione abilissimo, a cui si deve – per esempio – il rientro di Mercedes-Benz nel campionato di Formula Uno, con ben 5 trionfi. E che, per questo, ha saputo certamente cogliere l’ironia che si cela in questa campagna, rendendosi il protagonista dello spot del competitor.

Il video

“The last day”. La sedia vuota, lo schienale che volteggia. Gli ambienti luminosi e raffinati dell’azienda, un selfie, applausi: il sipario viene calato sulla carriera di Dieter Zetsche. Una musica leggera, un malinconico pianoforte di sottofondo. Fino al viaggio verso la sua casa. Infine, un garage aperto: sullo sfondo, trasversalmente, si nota una vecchia Mercedes d’epoca bordeaux. Ma la scossa arriva con l’accensione dei silenziosissimi motori di un ultimissimo modello BMW da corsa, dove a bordo sfreccia, pieno di energia, l’ex CEO dell’azienda concorrente.
Fino al payoff finale, che rientra nelle righe, dopo questa piccola provocazione, per parlarci di una lezione di grande rispetto nei confronti del concorrente di una vita.

Il linguaggio dell’ADV

“Grazie, Dieter Zetsche, per tutti questi anni di ispirante competizione”: questa potrebbe essere una più che plausibile traduzione del payoff finale di questo video, condotto nell’estrema semplicità, nei suoi 53 secondi di durata. Un video-advertising che si gioca su un doppio filo: rispetto e ironia. Parlare degli altri, riconoscendone il valore, sfruttando una news che corre alla velocità della luce nel mondo della finanza e dei motori, e trasformandola in un memorabile episodio di real-time marketing.
Lo spot, che per ora si trova solamente su YouTube, ma che speriamo presto di vedere sui planning media delle reti TV, ci dimostra come sia possibile concatenare i migliori aspetti dell’advertising – immediatezza e messaggio in primis – senza rinunciare al caratteristico tono di voce che contraddistingue ogni brand e che, per BMW, è certamente quello della non-troppo-velata ironia.

I valori di un brand ispirano il tono di voce

BMW è da sempre un brand che “osa”: lo fa con un linguaggio competitivo. Sono memorabili i payoff che accompagnano spesso il logo, che si ritrovano nella home del sito o nelle chiose degli spot, forti, corposi, come “driving pleasure has a name”, “become the best”, “show them all”, “the way to the top”. Certo, possono suonare come elementi ridondanti ma, a tutti gli effetti, sono parte di un codice di condotta che da sempre contraddistingue il loro linguaggio di brand.  Che, però, in questo spot viene mediato, scende a patti, diventa quasi più umile riconoscendo, a Dieter e – di conseguenza – al brand competitor – un valore fondamentale: quello di essere stati concorrenti memorabili, “ispiratori”.
Fino alla stoccata finale, in pieno stile BMW, dove, con la massima ironia, il caro vecchio Dieter sfreccia verso nuovi orizzonti di gloria a bordo del bolide della casa d’auto dell’Elica.

Un video intimo, dettagliatissimo e acuto: così abbiamo voluto descriverlo per voi. Per una lezione di ADV che rispetta in pieno ogni singolo dettame del “fair play” tra due competitor, senza levare però il gusto della sfida e della competizione più eleganti.

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Social Media: quando gli statement fanno di te un brand

29 Maggio 2019

L’orizzonte della fidelizzazione sui social è sempre più vicino? The Global Webindex’s flagship report on social media sembra proprio affermare di sì, con i suoi dati, secondo i quali il 22% dei consumatori dichiara di seguire fedelmente almeno un brand e secondo cui il 42% degli utenti dichiara di usare – finalmente – i social per cercare nuovi prodotti entrando in contatto con nuovi brand. Sempre secondo il survey, il 58% di questi utenti vengono classificati come “FOMO”, ovvero consumatori “fear of missing out” e che, quindi, non vogliono perdere nessuna novità. Ma se, dietro a questi dati, il fattore umano ormai fosse importante quasi quanto quello della usability, diventando il mattone che poggia ed eleva le fondamenta dettate da user experience, dal customer care, e dall’esperienza di brand?

Sì: questi dati “ispirano” i social media strategist, spingendoli sempre un po’ più in là in quello che è il premiare i propri follower – è il caso di Trussardi, come ci racconta Franz Russo, con la case history di “Dreambox”, che sta registrando un’ascesa reale su Instagram -. Ma, sempre questi dati, riportano direttamente alle scelte e alle prese di posizione messe in campo dai brand: infatti, molti di essi, soprattutto nel campo beauty e moda, dimostrano quella che potremmo definire come “una spiccata personalità” e una grande, grandissima voglia di interfacciarsi con la vita reale dei propri utenti. Le loro necessità. Le loro aspettative. Il loro rispetto.
Un esempio? Ce lo dà Zalando Italia.

Zalando e la scelta “curvy”

Lo scorso 11 gennaio, sulla pagina Facebook del brand e-commerce tedesco, è apparsa una la nuova linea di intimo di Calvin Klein indossata da ragazze bellissime, e vere.
Si direbbe, oggi, “curvy”. Nulla di trascendentale, insomma.
E invece, gli hater non hanno tardato ad arrivare, scatenandosi nei commenti con giudizi poco ortodossi nei confronti delle ragazze. Di fronte a questo esempio di cyber bullismo – perché di questo si tratta – la risposta del marchio è stata lampante:

“Da Zalando ci piace rappresentare e RISPETTARE la bellezza autentica e la diversità delle persone. Allo stesso modo, rispettiamo opinioni e gusti diversi dai nostri e il diritto di esprimerli.
Tuttavia, non accettiamo che la nostra pagina diventi un luogo per diffondere messaggi di odio, offesa o disprezzo: per questo motivo, siamo stati costretti ad oscurare alcuni commenti.”

Esattamente: in barba a ogni netiquette e a ogni policy di gestione della crisi e del community management, Zalando sceglie da che parte stare cancellando i commenti più offensivi.
Quando un brand è in grado di mettere i famosi “puntini sulle ‘i'” per ri-educare e fornire un contributo, attraverso la sua opinione, il web, dando al contempo sicurezza ed eticità all’utente che sicuramente si identifica maggiormente nella modella curvy, che in quella skinny. Un caso non isolato questo, che ha già portato il brand a una crescita esplosiva del traffico e degli acquisti: gli “statement” di Zalando infatti vanno ad accrescere e a rafforzare un customer care accurato, che ascolta culturalmente le esigenze dei consumatori, paese per paese, proprio come testimonia questa infografica.

Quando “dire la propria” significa essere un brand

Prendiamo Dove: un marchio beauty che ha puntato il tutto e per tutto sulla difesa dell’essere donna, e di esserlo nelle sue numerose sfumature.
Oppure, prendiamo Ducati che – in barba al machismo – ha di recente presentato un nuovo concept della campagna pubblicitaria, sostituendo le bellissime modelle con i meccanici e i centauri, in posa sulle moto, con tanto di tacchi e pose plastiche.
Tra realtà e ironia, sembra che la comunicazione del marchio oggi punti sempre più su una necessità di “dire la propria”, uscendo dai cliché abituali per abbracciare un sentire comune, vicino agli utenti reali: una brand experience che comunica con chi acquista, una necessità di ritornare a una comunicazione virtuosa, andando contro a comportamenti nocivi ormai largamente diffusi nella rete.

E questo, come social media strategist, è il consiglio che ci sentiamo di darvi: sui social media corre l’opinione, e la grande possibilità di dimostrare a tutti che, dietro a un’esperienza web perfetta, che nasce tra le pagine di un sito o tra i carrelli virtuali di un e-commerce, batte un cuore vicino a quello degli utenti. Perché la fidelizzazione parla un linguaggio umano.

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Neuromarketing: il potere della scienza applicata al marketing

22 Maggio 2019

Fondere il marketing tradizionale con la neurologia e la psicologia: una particolare “mistura” che chiamiamo neuromarketing. Una commistione tra scienza medica ed economia ormai divenuta una teoria – scientifica! – di riferimento per il marketing e le sue sfumature, tra retail fisico e web, grazie alle possibilità che essa offre nell’individuare canali di comunicazione che mirano dritto dritto ai processi decisionali d’acquisto. Perché il neuromarketing si prefigge un obiettivo tanto visionario quanto concreto: illustrare ciò che accade nel cervello delle persone, prima che queste diventino utenti, o clienti, analizzando alcuni stimoli indotti da prodotti, brand e advertising, per creare strategie forti il cui obiettivo porta direttamente… a un click sul bottone “check out”.

Alla base del neuromarketing c’è una ricerca:

Fu Ale Smidts, ricercatore olandese, a occuparsi per primo di neuromarketing, oltre che a coniarne il nome: correva l’anno 2002. E proprio Smidts scopri come alcune zone del sistema cerebrale umano siano decisamente più attive durante l’esecuzione del processo decisionale – vere e proprie lampadine a intermittenza – legato all’acquisto. Come scoprì tutto questo? Attraverso sistemi di risonanza magnetica funzionale ed EEG, ovvero encefalogrammi, per dare una spiegazione neurocognitiva agli stimoli più puramente emozionali. La finalità dell’esperimento? Quello pubblicitario e strategico, per aiutare i big brand a determinare l’appeal e la potenza comunicativa dei loro prodotti e il percepito della loro comunicazione.

Due casi-test esemplificativi

Martin Lindström è l’autore di “Buy-ology”, best seller del campo marketing e vendite: nella sua opera, l’autore ha dedicato ampio spazio a un test che vede protagoniste le controindicazioni riportate sui pacchetti di sigarette: attraverso l’intervista a un campione di fumatori impenitenti, a cui è stato chiesto quali effetti avessero questi messaggi, è stato dimostrato che, sebbene molti di loro avessero dichiarato un “ripensamento” sul fumo, i loro centri nevralgici, monitorati da un EGG, dichiaravano una forte, fortissima voglia di fumare.

Anche il famoso Pepsi Challenge Test costituisce una splendida allegoria di quello che è il potere del neuromarketing: ai consumatori-campione è stato chiesto di scegliere tra due tazze bianche contenenti, rispettivamente, Pepsi e Coca-Cola. I risultati sono stati stupefacenti: la maggioranza di chi ha preso parte all’esperimento ha asserito di preferire la Pepsi, senza sapere cosa ci fosse in realtà nelle tazze. Ma non solo: quando è stato loro domandato se avessero bevuto Pepsi o Coca-Cola, quasi tutti hanno detto di aver bevuto quest’ultima. Perché? Perché ha vinto l’immagine di brand più forte, con oltre un secolo di ADV serrata e di riconoscibilità assoluta. Quando la fedeltà al marchio va oltre la percezione del reale.

Neuromarketing: quali campi di applicazione?

Pensiamo all’ecommerce, ma pensiamo anche alle strategie di re-branding, o di branding “da zero”, fino alla user e customer experience: tutto questo presuppone una visione del marchio, dei suoi valori, della sua unique selling proposition, e della sua capacità di ammaliare che parte proprio dall’impatto. Infatti, le persone ricordano un marchio, e l’esperienza che questo sa regalare, quanto più questo è in target con i loro bisogni, le loro necessità, i loro gusti, anche indotti. E, il rovescio della medaglia, vede protagonisti i brand, che hanno ormai la grande responsabilità di conoscere alla perfezione il proprio pubblico. Perché non utilizzare, dunque, all’interno delle proprie strategie di branding, che comprendono sito web, esperienze di navigazione e di acquisto, campagne pubblicitarie, gestione dei social media, e molto altro, il coinvolgimento emotivo? Non parliamo di sola e pura emozionalità, ma anche di suscitare un’urgenza di acquisto: e tutto questo è applicabile anche nel settore retail e shop concreto, non solo a ciò che è legato al mondo web.

Come fare? Beh, laddove non sia possibile testare la risposta cerebrale agli stimoli con un EEC dei propri clienti, cosa decisamente non facile, possiamo dedicare un po’ del nostro tempo ad alcuni testi che aiutano a comprendere e ad applicare modelli di neuromarketing alle strategie: un titolo che ha spopolato in Siks ADV è certamente “Brainfluence” di Roger Dooley che, attraverso 100 esempi pratici, propone esperimenti ed esempi di “decision pattern” tutti da applicare.
Non ci resta che augurarvi buona lettura!

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Instagram: metamorfosi estetica? Ecco cosa sta succedendo

9 Maggio 2019

Instagram, da reale trend-setter popolato dagli ormai ultra-noti influencer, muta aspetto in tempi vertiginosi, velocissimi: non tanto per il layout, come fa il cugino Facebook, ma proprio a livello di aspetto, di mood delle immagini che lo popolano.
Un cambiamento di estetica guidato dalla Generazione Z dove i millennials, con le loro immagini di caffè e pc, non si trovano più così a loro agio. La metamorfosi sta, ovviamente, prendendo piede soprattutto negli USA, come testimonia il magazine The Atlantic, ma viene da chiedersi se questa contagerà presto anche il vecchio continente.

Gli utenti crescono (o meglio, cambiano) e l’estetica si plasma:

La piattaforma Instagram è cresciuta così tanto negli ultimi 2 anni da arrivare a contare quasi 1 miliardo di utenti mensili. Ed è proprio questa massa che sta apportando un reale cambio di estetica: i protagonisti sono ora pareti luminose, lattine disposte ad arte, toast all’avocado, l’aspetto curato, patinato e lucido, le luci fredde e correzione cromatica fai-da-te. Niente più calore, niente più filtri Lo-Fi. E le foto che impersonificano queste tendenze riscuotono un tale successo che il mood è ormai sinonimo della piattaforma stessa; anzi, sta dilagando all’esterno.
Proprio The Atlantic ci invita a “farci caso”: anche se non utilizzi l’app, hai sicuramente incontrato, in un ristorante, in un bar, un bagno dai colori vivaci che sembra fatto apposta per essere fotografato.

Sempre The Atlantic interpella, poi, James Nord, Amministratore Delegato di Fohr, una piattaforma di consulenza e gestione specializzata in influencer marketing, il quale afferma di vedere ogni giorno questo cambiamento direttamente nei numeri – in termini di follower – dei suoi clienti: “Ciò che ha funzionato prima, ora non funziona più“, dice. “Per la prima volta, gli influencer si scontrano realmente con il problema di poter continuare a crescere mentre i gusti degli utenti Instagram cambiano repentinamente. Un anno fa, un influencer poteva pubblicare uno scatto con mani ben curate su una tazza di caffè e fare man bassa di mi piace, ma ora non più.”

Sempre secondo Fohr, il 60 percento degli influencer con più di 100.000 follower in realtà sta perdendo centinaia seguaci, mese dopo mese. “È piuttosto impressionante“, dice Nord “Essere un influencer che, nel 2019, fa ancora coloratissimi scatti in piedi di fronte agli ‘Instagram wall’ è difficile.”

Musei e big fun art a portata di scatto

Facciamo un passo indietro: “Instagram wall”? Sì; anzi, oltre ai muri di più: perché esistono veri e propri “musei” creati apposta per gli scatti social. Almeno Oltreoceano. E si tratta di reali manifestazioni di quell’epoca che il critico di Artnet New Ben Davis ha chiamato “Big Fun Art”. Infatti, i social come Instagram hanno portato a un modo più popolare di consumare cultura: ovvero, attraverso questi musei-contenitori di installazioni coinvolgenti, fatte di gomma, marshmallows, biglie, così divertenti e foto-friendly, dove basta pagare un ticket di ingresso – dai 30 dollari ai quasi 200 di un vip pass – per i propri scatti da esporre sul social a caccia di nuovi likes.
Ma, anche qui, qualcosa sta cambiando: pare che queste location multicolor non siano poi più così appetibili perché non più in sintonia con la nuova estetica in arrivo da Instagram, fatta di luci fredde e di pose molto meno plastiche.

La dura vita dell’Influencer

Certo, la piattaforma stessa potrebbe essere parzialmente responsabile di come si sono evolute le cose: ma sono i gusti di chi popola Instagram a dettare legge, la loro età, e il loro senso estetico, trasmettendo queste necessità anche agli influencer stessi, i quali, in più casi, hanno denunciato  casi di burnout e di stress causato dal dover a tutti i costi mantenere la perfezione. Un motivo in più per abbandonare il proprio stile, cedendo a quelle che sono le richieste degli utenti, pena la perdita del titolo di trend-setter.

Che cosa succederà in Italia nei prossimi mesi? Lo scopriremo, e vedremo se questa tendenza spopolerà anche nel nostro paese. Nel mentre, curare al meglio la propria presenza sui social, prestando massima attenzione ai trend, applicandoli alla propria strategia sembra essere la soluzione migliore.
Come? Non hai una strategia? Bene, allora qui possiamo aiutarti noi!

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Un orizzonte umano: Lush, Facebook, Snapchat parlano alle persone

16 Aprile 2019

Le nostre antenne sono sempre ben sintonizzate sul mondo dei social media: infatti, questi potentissimi canali sono in grado di darci il polso della situazione non solo del mondo marketing e digital, ma anche di come le persone – che sono il nostro target privilegiato per comunicare – recepiscano e vivano questi spazi.
E proprio le “persone” sono al centro delle ultime novità del mondo social media: tra un brand che lascia il tavolo di gioco a carte scoperte, Facebook che implementa una funzione strettamente “umana”, e Snapchat che si avvicina ulteriormente alla sua fetta di pubblico. Il tutto, in tre news dal mondo digital che in questo freddo aprile hanno saputo scaldare il cuore di tanti marketers. Tra un bug e l’altro.

Lush (UK) lascia i social

Mail, telefono, chat sul sito web e, ovviamente, punti vendita e flag stores: questi sono gli unici mezzi attraverso cui clienti e (ormai ex) follower potranno raggiungere Lush nel Regno Unito. Il famoso brand beauty 100% vegano ha infatti annunciato – con un tweet – l’uscita di scena dai social UK. Una decisione che sembra voler far riflettere su due punti: algoritmi invadenti, e necessità di stringere un contatto diretto, un approccio “human to human”, ma anche una riflessione sul non voler più pagare per la visibilità confluita dalle campagne ADS.
Un ritorno alle origini? Beh, di certo si tratta di una mossa che non riguarda la totalità dei paesi in cui il brand è presente, e che si restringe solo a un player della strategia social del brand. In Italia, infatti, i canali Lush sono ancora attivi!

Facebook lancia la funzione per commemorare i defunti

Se per qualche brand l’orizzonte social si è fatto scuro, ecco che per uno strano gioco di tempistiche, proprio mente Lush saluta i media per dedicarsi al contatto umano, Facebook lancia un’estensione che consentirà alle persone di unirsi e celebrare il ricordo di qualcuno amato, con la funzione di commemorazione dei defunti: si tratta di una modalità attraverso cui creare una community che dia spazio a ricordi, aneddoti e messaggi per ricordare chi è venuto a mancare, dalla funzionalità semplice e immediata. Infatti, un amico, un parente, o un erede della persona scomparsa potrà divenire amministratore del profilo, trasformandolo così in pagina di commemorazione: un admin, a tutti gli effetti, che potrà anche fare affidamento su standard di controllo – da parte della piattaforma – molto alti, per far sì che il ricordo rimanga puro e non venga strumentalizzato in alcun modo.

Snapchat si potenzia, per il piacere del suo pubblico

Notizia di soli 4 giorni fa: Snapchat sviluppa nuovi filtri e una sezione “show” che sembra voler percorrere un binario parallelo a quello di Facebook Watch.
Snapchat è un sistema di chat nato solo nel 2011 a opera di due studenti di Stanford, ed è certamente uno degli strumenti più utilizzati nella quotidianità tra i teenagers.
Non solo: Snapchat sta divenendo, in sordina, un social a tutti gli effetti. Infatti, nel 2013, Snapchat suscitò l’interesse di Zuckenberg che offrì ben 3 miliardi di dollari per l’acquisto della piattaforma. Oggi, a quasi 5 anni dal rifiuto di quell’offerta così cospicua, ecco che Snapchat si concentra sul lancio di serie – veri e propri show pomeridiani, tra cui uno realizzato da BuzzFeed – e di una piattaforma gaming con cui giocare in tempo reale con i propri amici durante una semplice chat, fino alla piattaforma per sviluppatori. Ma questa, forse, è una storia che merita un approfondimento a parte!

E così, tra down sempre più frequenti dei colossi, come quelli di Instagram, Facebook, Whatsapp – un malfunzionamento di concerto che risale al 15 aprile e che segue di appena 30 giorni il down più lungo della storia, durato ben 14 ore – all’orizzonte non ci sono solo abbandoni, neanche troppo a malincuore, come quello di Lush, ma anche alternative e strumenti che ci permettono di allargare la nostra visione social, ampliandola e rendendola differente, come con Snapchat, per una strategia che tenga conto non solo della vera socialità, quella che si basa su rapporti tra esseri umani, ma anche di scorciatoie e di nuove risorse che – chissà – un giorno potranno costituire una risorsa con cui andare controcorrente.

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