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Flyingminds

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Agenzia di comunicazione

Campagne Marketing

Scherzi da digital: i pesci d’aprile dei grandi brand

10 Aprile 2019

Il marketing è un campo bizzarro: costruisce la sua portata su numeri, dati, metriche e statistiche.
Un colosso serioso, che incute timore reverenziale, e a cui tutte le attività, le società, le startup, si attengono consultando la sua voce dei suoi guru, un po’ come fossero oracoli.
Ma il marketing, e la sua sorella pubblicità, celano uno spirito goliardico: per questo, il primo d’aprile è sicuramente uno di quei giorni che non possono passare inosservati nel mondo digital.

Così, ci siamo guardati intorno e abbiamo scovato la nostra top 5 di brand jokes: le idee più scherzose in un excursus che comprende gli ultimi 5 anni di burle sagaci e illuminanti da parte dei grandi marchi.

2015: il vincitore è Google

Correva il 2015, anno in cui Google Maps ha trasformato strade e percorsi di tutto il mondo nel labirinto di Pac-Man.
Ma, sempre nello stesso anno, il colosso Google si è divertito a lanciare Smartbox: una cassetta delle lettere che si prende cura della posta – sì, quella fatta di cara e vecchia carta – proprio come farebbe la casella Gmail, ordinando le missive tra inbox, posta inviata, spam. Una cassetta interattiva, con display touch e sistema di notifiche collegate ai propri dispositivi mobili. Un pesce d’aprile davvero credibile!

2016: Mark for H&M

Lo ricorderete: Mark Zuckerberg modello per un giorno, modello per HM. Anzi, modello per una collezione studiata appositamente da lui, per quelli come lui. Il payoff irriverente “one less thing to think about in the morning” faceva presagire il contenuto della capsule collection, composta di sette modelli di  t-shirt grigie – tutte uguali – e un solo paio di jeans. Nulla da aggiungere all’essenzialità del patron di Facebook, diventato protagonista della fantomatica collezione a cui il brand di abbigliamento svedese ha dedicato una landing page ancora visibile oggi all’indirizzo markforhm.com!

2017: è l’anno di volare con Ikea

Il primo d’aprile di due anni fa, la notizia del lancio di FLIKEA, la nuova compagnia aerea low-cost con linea Svezia-Australia come tragitto di punta, ha fatto il giro dei social. Uno scherzo che, forse, non risultava poi così credibile, ma che ha suscitato l’ilarità di tanti: «Non lasciare che tuo marito costruisca il sedile: non leggerà le istruzioni e lascerà indietro qualche vite» è certamente il commento più amato e ri-condiviso della campagna fake.

2018: Burger King scherza con il Whopper

Burger King sembrava aver realizzato il sogno nel cassetto di tanti appassionati di fast food, illudendoli in due modi davvero bizzarri: partiamo dal mai-più-senza, il totem per gli ordini, installato direttamente in salotto. Un’idea a cui hanno abboccato in pochi, certo. E allora, Burger King ci riprova, a poche ore di distanza, prendendo di mira gli amanti del cioccolato con il Chocolate Whopper: burger di cioccolato alla griglia, colante salsa al lampone, anelli di cioccolato bianco, canditi di arancia, crema alla vaniglia… ma, soprattutto, un emblematico “coming soon, maybe”. Il tutto arricchito da una musica ammiccante che amplifica il languorino lasciando tutti a bocca asciutta.

2019: Tinder ti fa dire la verità

Tinder lancia una nuova funzionalità chiamata “verification”? Sì, ma solo per il primo aprile. E grazie a “Verification” non sarà più possibile barare sull’altezza: “Say Goodbye To Height-Fishing” recita il claim del pesce d’aprile del social che richiede, al momento dell’iscrizione, un’immagine che ci ritrae a fianco di un edificio identificabile. Da qui, il sistema procederà, quindi, con fantasmagorici algoritmi, alla verifica dei dati. Terrore allo stato puro, smentito poche ore dopo il lancio. Possiamo tirare un sospiro di sollievo, e continuare a barare, almeno fino al primo appuntamento!

E così, questa top 5 ci dimostra che, dietro all’ilarità, si cela la creatività massima dei brand: una creatività che rimane inespressa durante la quotidianità lavorativa dei team di comunicazione e che trova, così, in questa giornata, un’occasione di real time marketing irresistibile.

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CoorDown e l’arte della comunicazione sociale gentile

3 Aprile 2019

Sono diverse settimane che, sul nostro blog, parliamo di comunicazione sociale e affini. E non possiamo davvero farci nulla: in questo universo nascono idee, leve comunicative e contenuti davvero strabilianti, divertenti, toccanti. Così, oggi, desideriamo raccontarvi la campagna “Leave no one behind”: ovvero, “Non lasciare nessuno indietro”. Questo è il titolo scelto per l’ultimo spot della recente Giornata Internazionale sulla Sindrome di Down, a cura dell’associazione internazionale CoorDown che, da diversi anni – ormai otto – lavora sulla sensibilizzazione nei confronti di questa sindrome e sull’inclusione necessaria alla quotidianità delle persone che ne sono colpite. Una storia ormai lunga, quella di CoorDown, che corre sul filo della comunicazione. Infatti, con estrema puntualità, l’associazione pubblica, ogni anno, a pochi giorni dalla ricorrenza, un video, un vero e proprio spot – semplice e fantasioso – con cui ricordare al mondo intero l’importanza di una giornata come questa. La risultante: storytelling perfetti e reali; a volte allegri, a volte più intensi e commoventi, altri decisamente divertenti.

Il 2019 e #leavenoonebehind

Un fiabesco portone si apre: è l’entrata di un biblioteca. Decine di libri volano sopra la testa del protagonista, che inizia così un delicato monologo: perché il 21 marzo è la giornata mondiale della poesia, attraverso cui trasformare sogni in parole. Ma è anche la giornata internazionale delle foreste, con cui celebrare questi spazi sconfinati e meravigliosi, ci racconta una ragazza francese. Ed è anche il Nowruz Day. Ma soprattutto, è la giornata internazionale della Sindrome di Down. E ce lo ricordano questi protagonisti, soggetti attoriali assolutamente non casuali perché tutti interessati dalla Sindrome.
Un copy semplice e avvolgente, delicato e vivido, con cui spezzare la catena dell’isolamento.
Un payoff, quello scelto per il 2019, che è diventato anche un hashtag di successo: infatti, #leavenoonebehind ha raccolto, negli ultimi 40 giorni, oltre 34,6k di post, tra video, citazioni e condivisioni, solo su Instagram.

Uno slogan così semplice, eppure così pieno di sfumature e significati: un racconto, in tutti i suoi crismi, racchiuso in una frase talmente semplice da essere composta solamente da un verbo, un soggetto, e un complemento.

Il caso dear future mom

5 anni fa, CoorDown aveva mobilitato l’attenzione mediatica internazionale con l’uscita del suo terzo spot, dall’inequivocabile titolo “Dear future mom”.
Un filmato di circa due minuti basato su quella che viene chiamata “real communication”: ovvero, uno spot che parte da una – presunta – realtà. E, in questo caso, la realtà di una futura madre la quale, dopo aver scoperto che suo figlio nascerà con la Sindrome, scrive all’associazione raccontando i suoi timori. Il fulcro del video gira proprio sulla domanda: “che vita avrà mio figlio”? E le risposte costituiscono il dolcissimo plot del video, così reale e così esauriente; uno spot autentico perché in grado di svolgere la sua funzione fino in fondo: raccontare, rassicurare, rispondere.

E ancora, “The special proposal” – un romanticissimo video di cui non vogliamo anticiparvi nulla, ma che si suddivide tra una prima parte, emozionale e real time, e una più istituzionale, in grado di sottolineare come la vita di coppia di due persone con la Sindrome di Down sia comune a quella di tante altre coppie – fino a “Not special needs – Just human needs”, due divertentissimi minuti in cui si fa leva sull’assurdità del concetto di “bisogni speciali”.

Ma, in fondo, ciò che contraddistingue le campagne video di CoorDown è il respiro internazionale: si tratta di spot multilingua, dove gli attori – per un giorno, molto probabilmente – provengono da ogni parte del mondo, per trasmettere un messaggio unificato che non necessita di essere manipolato da interventi di traduzione e in grado, al tempo stesso, di dare il polso di una situazione globale, comune a tutti.
Internazionalità, semplicità, raffinatezza del concept e nel copy, senza drammatizzare, per enfatizzare solo ciò che realmente importa, in un esempio di comunicazione sociale così onesto e brillante.

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StartRocket: la startup che farà pubblicità nello spazio

18 Febbraio 2019

E così è successo per davvero: una startup russa vuole lanciare minuscoli satelliti nell’orbita terrestre, illuminando così il cielo notturno con mirabolanti pubblicità. Sul serio. Infatti, secondo il capo del progetto, Vlad Sitnikov, head della StartUp in questione – chiamata StartRocket – questa mercificazione del cielo notturno è il prossimo passo da compiere nel mondo della pubblicità. Infatti, StartRocket potrebbe essere la prima azienda a produrre quello che – lei stessa – chiama “display orbitale” (Orbital Display) entro il 2020, iniziando a mostrare annunci pubblicitari nel cielo notturno entro il 2021. I suoi piccoli satelliti navigheranno in orbita a un’altitudine compresa tra 400 e 500 chilometri e saranno visibili solo dalla terra, per circa sei minuti alla volta.

Come funziona il display orbitale?

Il display orbitale sembrerebbe essere formato da tanti piccoli satelliti disposti in maniera tale da riuscire a creare l’annuncio: ognuno dei satelliti, infatti, sarà dotato di una vela riflettente di oltre 10 metri di diametro. L’insieme di questi satelliti orbitanti consentirebbero alla luce solare di rifrangersi contro le vele, il tutto a un’altitudine di circa 450 chilometri. La programmazione media? Il passaggio degli annunci avverrebbe all’alba e al tramonto, con una ripetizione di questi tre o quattro volte, per un’area visibile di 50 chilometri. La compagnia russa mantiene il massimo riserbo sui costi di una simile operazione: infatti, non ha per ora fatto sapere nulla rispetto a quanto potrebbe costare una pubblicità spaziale, ma sicuramente i big brand e i colossi universali del commercio si stanno già fregando le mani.

Solo advertising?

Advertising? Non solamente. Infatti, questo rivoluzionario sistema non servirebbe solamente a trasmettere pubblicità: immaginiamo, in un domani poi non così fantascientifico, un’emergenza catastrofica. Il sistema satellitare di rifrazione potrebbe così notificare informazioni e messaggi da parte di enti governativi e sistemi di emergenza. Questa, almeno, è la linea difesa su cui la start-up russa gioca, dal momento che l’operazione ha suscitato non poche obiezioni.

C’è chi dice no:

L’astronomo americano John Barentine  sostiene che “avviare progetti artistici come questo senza alcun valore commerciale, scientifico o di sicurezza nazionale sembra poco saggio. Lo spazio è sempre più affollato. Ci sono oltre 20.000 oggetti con orbite nel catalogo pubblico ufficiale gestito dall’Aeronautica statunitense. Meno del 10% di questi oggetti sono satelliti attivi – il resto sono satelliti morti, vecchi corpi di razzi e parti di veicoli spaziali. ” Barentine, infatti è un esperto in materia: direttore della conservazione per l’International Dark-Sky Association a Tucson, in Arizona, e membro del comitato dell’American Astronomical Society sull’inquinamento luminoso, l’interferenza radio e i detriti spaziali, dice che “questi cartelloni spaziali potrebbero qualificarsi sia come inquinamento luminoso che come detriti spaziali e potrebbero persino disturbare i segnali radio”. Ma, contro i criticismi, stavolta parla Alexey Skorupsky, un altro membro del team StartRocket, che ha respinto tutte queste critiche chiamando in causa una compagnia neozelandese che, nel 2018, lanciò una sfera da discoteca in orbita visibile solo per pochi minuti alla volta: una mossa che infastidì gli scienziati.

Insomma, se poche settimane fa ci stavamo meravigliando di come il digital signage stia dominando la nuova era advertising, ecco che oggi piomba una notizia – di questo calibro – a ciel sereno, quasi come se fosse uscita da un romanzo di Philip K. Dick. E così, è proprio il caso di dirlo, non si starà di certo a “rimirar le stelle”.

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Un brand diventa portatore di messaggi positivi: il caso Gillette

4 Febbraio 2019

Gillette è, probabilmente, uno di quei brand che pensiamo essere “standard” nella comunicazione: payoff immutato negli anni, target solido, ben preciso, comunicazione un po’ old school e tanto televisiva ma, comunque, efficace.
E, invece, ecco che la situazione in campo si rovescia, all’improvviso: il brand, infatti, ha preso una posizione culturale e sociale che ha smosso le folle. Proprio mentre il 2018 era agli sgoccioli, Gillette ha lanciato una nuova campagna video, dedicata al movimento americano #MeToo, attivo nel monitorare e contrastare ogni discriminazione sessuale. Un video lungo, oltre il minuto e mezzo, ricchissimo di immagini ed evocazioni, il cui messaggio desidera spingere gli uomini a reagire – per esempio – davanti a situazioni violente e inappropriate che compongono un mosaico di comportamenti definito “toxic masculinity”.

Non stupisce, quindi, che il video abbia ricevuto intense critiche sui social media: una voce dal coro, forse la più forte, è quella di una nutrita schiera di uomini che chiedono di boicottare il marchio P&G, a cui Gillette appartiene, lamentando una “demascolinizzazione” del brand.

Lo spot che ha fatto il giro del mondo:

Il video è intitolato “We Believe: the Best Men Can Be” ed è diventato immediatamente virale contando oltre 4 milioni di visualizzazioni su YouTube in 48 ore, tra generose lodi e critiche rabbiose: la nuova campagna pubblicitaria della compagnia gioca sul trentennale slogan Gillette “the best a man can get”, stravolgendolo con un gioco di parole e trasformandolo in un “the best the men can be”. Da “avere”, a “essere”.

Il tutto comincia con uno zapping, un tuffo nel passato, di vecchie ADV di brand dove l’uomo è al centro del suo mondo. Un videowall sfondato – all’improvviso – da ragazzini che si inseguono. E, ben presto, tutto cambia, tutto diventa attivo, in una call to action – è proprio il caso di dirlo –  che non si risolve in una semplice frase, ma che si compone di scene, di frammenti, dove protagonisti sono uomini che intervengono per fermare le lotte tra ragazzi e richiamare al rispetto altri uomini che molestano verbalmente donne per la strada. Fino al climax finale. L’annuncio è stato diretto da Kim Gehrig, videomaker dell’agenzia Somesuche, con sede nel Regno Unito. E proprio Gehrig sembra essere un habitué della provocazione, visto che anche la curiosa campagna”Viva La Vulva” del brand svedese di prodotti per l’igiene intima Libresse, porta la sua firma.

La querelle:

In poche ore, la pagina YouTube dello spot è diventata un vero e proprio campo di battaglia culturale. Non solo: la diatriba si è poi trasferita su Twitter, dove personaggi più o meno famosi degli USA – tra il consigliere di Trump e la nipote di Martin Luther King – hanno espresso il loro giudizio partendo dallo spot, e schierandosi così a favore, o contro, una battaglia.

Quando i brand divulgano messaggi positivi:

Non è più sufficiente per i brand vendere, semplicemente, un prodotto: i clienti, infatti, chiedono sempre più spesso valori. Perché mai come oggi il potere dei brand di influenzare la cultura, tra social e advertising, è stato sdoganato: meglio, dunque, diventare portatori di messaggi positivi. E Gillette lo ha fatto, stravolgendo l’immaginario-target di uomini forti, sicuri, perfetti, in una visione più profonda e avanguardista, con un “semplice” spot che si appella agli uomini di oggi e a quelli di domani.

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“Come da tradizione”: i migliori spot emozionali di questo Natale

21 Dicembre 2018

Messaggi non subliminali e orientati alla socialità: è questo il fil rouge del Natale 2018 visto secondo le campagne spot di alcuni brand giganti  – ma non solo! – che ci accompagnerà durante le festività. C’è spazio per tutto: commozione, riflessione, divertimento.

Ecco, quindi, la selezione che abbiamo fatto per voi, in Siks ADV.

Quando le emozioni non si lasciano condizionare dal budget

È notizia di questi giorni che uno dei migliori spot natalizi targati 2018 sia stato girato con un budget di sole 50 sterline: si tratta di uno storytelling  – ricetta sempre vincente – a base di emozioni toccanti, quotidiane, che vanno a comporre il leitmotiv di “Hi Chris, it’s mom”. Un video che  – probabilmente –  non dominerà i media planning della stagione, ma che si è conquistato il trono della viralità su YouTube: ogni Natale, il ragazzo protagonista ascolta una cassetta molto speciale, da una scatola in cui conserva tutti i vecchi nastri su cui è incisa la voce della mamma, che non c’è più. Il 2018 è l’anno in cui Chris compie 30 anni, ed è anche l’anno dell’ultima tape incisa dalla madre. Il tutto si conclude con il payoff “Love is a gift”, semplice e naturale. La lacrimuccia è d’obbligo!

Metti via quel cellulare!

Dall’Inghilterra passiamo in Spagna: qui il Natale si fa più giocoso con Ikea che, nel suo nuovo spot dedicato alla zona iberica, affronta un tema su cui fermarsi a riflettere. In questo nuovo spot di ben tre minuti, cinque famiglie prendono posto sedendosi al tavolo – sontuoso ed elegante – della cena di Natale. Qui parte un quiz dal gusto televisivo, fatto di poche e semplici regole: la voce fuori campo del presentatore inizia dicendo “se dai la risposta giusta, prosegui la cena, se sbagli, ti alzi da tavola e vai via”.
E, dopo domande su social e gossip, ecco che arrivano quelle legate alla vita e agli accadimenti di amici e familiari. Uno dopo l’altro, gli ospiti – dando la risposta sbagliata –, vengono eliminati. La tavola si vuota. Un messaggio forte veicolato attraverso un’ADV dal taglio spettacolare e accompagnato dalla dichiarazione fatta da Ikea che, foriera di buoni esempi, ha deciso di sospendere ogni attività social dal 24 dicembre al 1 gennaio.

Non poteva mancare Apple

“Share Your Gift”, ovvero: “Condividi i tuoi doni”, non materiali, ma di talento. Questo è il titolo dato al nuovo capitolo a tema Natale firmato dal team creativo di Apple, che per l’edizione 2018 sceglie come formula visiva una bellissima animazione. Lo spot sembra tagliato su misura per i giovani creativi, una fucina d’ispirazione per il Brand di Cupertino, i quali vengono invitati a “condividere” il proprio talento. Uno spot dolce, colorato e positivo, dove le vicissitudini che accadono alla giovane protagonista nelle vesti di cartoon sottolinea quanto sia importante credere nel proprio talento. E il concetto viene rafforzato da questo storytelling privo – come accade per ogni spot natalizio Apple – di dialoghi, ma carico di emotività.

Uno sguardo all’Italia

Un Natale più colorato, senza troppe morali, ma con un messaggio commercialmente democratico: quello di rendere accessibile il lusso di un prodotto ricercato e gourmet come può essere un panettone tradizionale meneghino. Tre Marie, assieme all’agenzia Grey, ha quindi optato per un racconto impattante e divertente, in cui famiglie milanesi, vicine di casa, si sfidano a colpi di kitsch e di esagerazioni facendo a gara sull’esibizione del proprio spirito natalizio. Riusciranno a seppellire l’ascia di guerra, guardandosi di sbieco dalla finestra, e sventolando i loro panettoni Tre Marie?
Uno spot serrato, incentrato sul brand e sul concetto che il marchio Milanese da diversi anni cerca di veicolare: a Natale ci si può concedere qualche strappo alla regola con “Il buono di Milano”!

Insomma, si può dire che questo 2018 si spoglia dei simboli più tradizionali del Natale, come Babbo Natale, le piste di pattinaggio ghiacciate, gli alberi decorati e i grandi pacchi regalo, per vestirsi di messaggi pregnanti che, attraverso la formula dello spot video, della creatività multiforme e della scelta stilistica di raccontare tante storie secondo mood e tecniche differenti, ci regalano un momento di riflessione.

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Quella sagoma che ha fatto la storia: un’ADV semplice come un caffè

28 Novembre 2018

Il caffè: cosa rappresenta per gli italiani? Forse sarebbe meglio dire “quanto” rappresenta. Talmente tanto da essere divenuto un elemento di espressione idiomatica per invitare qualcuno ad aprirsi, per confrontarsi, per parlare: nella frase “andiamo a prenderci un caffè” sono racchiuse davvero tante sfumature della condivisione e del dialogo.
Ma sarebbe stato così se il caffè non avesse avuto un nome e… un volto (in passo-uno)? Non vogliamo essere eccessivamente misteriosi: stiamo parlando proprio del rapporto tra Lavazza e l’advertising di Armando Testa – un rapporto continuativo, per quasi 50 anni – che ha generato qualcosa di indimenticabile.

Quella sagoma che ha fatto la storia

“Paulista” non è un solo prodotto, ma nome, un personaggio: un cono bianco, con sombrero, occhi spalancati e grandi baffi che ha preso per mano generazioni di italiani accompagnandoli nella stringa pubblicitaria quotidiana, poco prima di coricarsi (decisamente strano per un caffè!).
E il Caballero Misterioso è il personaggio che ha accompagnato il principio della storia advertising del marchio torinese: infatti, se Emilio Lavazza ha lanciato il suo caffè nel 1955, nel 1958 ecco che aveva già incontrato il genio di Testa e del suo personaggio. Un qualcosa di semplice, a primo acchito, ma che così non è stato. Proprio come ha raccontato Armando Testa, in questo intervento:

“In Carosello, durante il minuto di spettacolo, non era permesso alcun riferimento pubblicitario. Paulista, ormai immediatamente riconoscibile come marchio del caffè Lavazza, non poteva quindi essere il protagonista delle nostre storie.
Dovetti studiare a lungo per creare un altro personaggio, il Caballero Misterioso, un semplice cono di gesso bianco, con un ampio cappello ed un cinturone con la pistola che, solo alla fine, rivelava la sua vera identità trasformandosi in Paulista.
Al Caballero affiancai una compagna, Carmencita, uguale nelle proporzioni, ma con lunghe trecce nere. Entrambi erano senza braccia e senza gambe, avevano il sorriso disegnato; il Caballero poteva solo muovere il cappello e la pistola, mentre Carmencita agitava le trecce. Avrebbe funzionato? Non lo sapevamo…“

La programmazione

Ma la TV non è stata la prima vita di Caballero: la sua prima apparizione è avvenuta – a braccetto con lo slogan “amigos, che profumo“ – sui barattoli del medesimo caffè, nelle affissioni pubblicitarie tra giornali e città italiane. Vestito di poncho, il caffè Paulista è poi sbarcato su Carosello nei primissimi anni ‘60: un periodo in cui la pubblicità era meno diretta, forse più subliminale, ma garbata, dovendo entrare nelle case di italiani. Si trattava, quindi, di farsi ricordare raccontando una storia, in soli 2’30’’. E in bianco e nero per giunta. Correva l’anno 1964 quando Emilio Lavazza e Armando Testa partono per questa avventura, affiancando a Caballero Carmencita, in un “amore a prima vista”. Una storia d’amore, questa, che va avanti tra rime e piccoli payoff finali, senza nessun richiamo al caffè o al prodotto in sé se non nella striscia finale – modus operandi già diffuso all’epoca, se pensiamo al famoso “Ava come lava” – fino al 1977, quando la crisi economica e gli anni di piombo trasformano gli italiani: la necessità, ora, è uscire dagli schemi fantastici proponendo volti reali, familiari. Primo fra tutti l’indimenticabile Nino Manfredi, e il suo “più lo mandi giù e più ti tira su”. Ma questa è un’altra storia.

Può quindi l’ADV essere una cosa semplice, e indimenticabile, come un cono bianco con sombrero e baffi, come un caffè? Certo che può, tanto da fare la storia della pubblicità e della quotidianità di milioni di persone!

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