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Agenzia di comunicazione

Creatività

Threads spodesterà X? Scopriamo il nuovo social di Zuckerberg

7 Febbraio 2024

Fra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, un barcollamento sulla reputazione di X (ex Twitter) nell’ambito del microblogging, ha aperto la strada a possibili competitor. Mark Zuckerberg non se l’è fatto ripetere due volte, lanciando Threads nel luglio 2023, a neanche un anno dall’acquisizione di Twitter da parte di Musk nell’ottobre 2022.
In Europa, però, Threads è disponibile solo da dicembre 2023. Gli utenti stanno ancora prendendo confidenza col mezzo e la piattaforma stessa sta cercando di capire in che direzione muoversi. Sarebbe prematuro esprimere un giudizio su questo nuovo social dopo appena sei mesi (e sarebbe impossibile farlo dopo un solo mese), ma possiamo sicuramente tracciare qualche coordinata di partenza per cominciare ad esplorare limiti e potenzialità dell’alternativa offerta da Meta. Prima di tutto, una domanda sorge spontanea: Threads è una copia di X – bella o brutta che sia – o aggiunge effettivamente qualcosa di nuovo all’affollato panorama social?

Threads


L’interfaccia di Threads non è molto simile a quella di X, ma ovviamente si incentra anch’essa su messaggi brevi (scritti) che possono essere accompagnati da immagini, gif, video. Tuttavia, alcune funzionalità sembrano favorire una maggiore interazione fra gli utenti, mentre altre potrebbero precludere a Threads la possibilità di diventare un degno sostituto di X.

Follow

Chi ha popolato Threads in questi suoi primi mesi di vita ha assistito alla tipica euforia che caratterizza la fase iniziale di ogni nuovo social. In questo caso, l’ultimo arrivato giova del collegamento diretto con Instagram, favorito da Meta. A ogni nuovo iscritto viene offerta la possibilità di seguire in automatico tutti i profili che già segue su Instagram: questa funzionalità permette alla maggior parte dei nuovi profili di partire già con un discreto numero di seguaci. Inoltre, sulla piattaforma impazza il “follow 4 follow”, ossia la pratica di seguirsi a vicenda. Si tratta, naturalmente, di una “promessa” che il più delle volte viene a mancare sul lungo periodo, ma nel caso di Threads c’è un dettaglio che potrebbe cambiare le carte in tavola in materia di follow/unfollow. Infatti, se su Instagram è possibile vedere sia il numero di follower che il numero di profili seguiti, su Threads è possibile vedere solo i follower. Quindi, se su Instagram i profili di maggior prestigio sono quelli in cui il numero di follower è nettamente superiore al numero di profili seguiti, su Threads la questione non si pone: per mantenere alto il proprio “status” non è necessario preoccuparsi di quanti (e quali) profili si decide di seguire perché il dato non viene reso pubblico dalla piattaforma.

Interazioni

Inoltre, su Threads non è possibile vedere il numero di quelli che su X vengono chiamati “retweet”, ossia il numero di volte in cui un determinato contenuto è stato ricondiviso. Anche questa metrica sembra dunque perdere valore rispetto a X, in favore piuttosto di un’interazione più diretta. Dopotutto “threads”, in inglese, significa “discussioni”, e rimanda agli omonimi threads dei forum, piattaforme di discussione che esistono ancora oggi, ma che dopo l’avvento dei social si sono decisamente svuotate. Eppure, i forum offrono agli utenti un’occasione per discutere di argomenti di comune interesse in maniera ben più approfondita di quanto sia possibile fare sui social. Pensiamo allo stesso X, che proprio sulla brevità (280 caratteri per tweet) ha costruito la propria ragione d’essere. In questo senso, Threads offre qualche carattere in più per esprimersi (500), oltre alla possibilità di modificare il messaggio entro i primi 5 minuti dalla pubblicazione. Anche i video, su Threads, durano di più, con un massimo di 5 minuti contro i 2 minuti e 20 di X. L’impossibilità di inviare messaggi privati, poi, è un ulteriore incentivo a discutere direttamente sulla piattaforma.

Messaggi vocali

Non dimentichiamo, in ultimo, quella che è forse la più grande novità che Threads introduce rispetto a X, ossia la possibilità di inviare messaggi audio di massimo 30 secondi, con o senza trascrizione automatica. Questa opzione offre un grande potenziale sul lato dell’interazione: sentire la voce dell’interlocutore, anche se per pochi secondi e in differita, contribuisce a metterne in luce gli intenti – seri o ironici che siano – dando vita a interazioni più limpide rispetto a X, in cui la brevità lascia spazio a messaggi caustici, litigi e fraintendimenti. Tuttavia, questa funzionalità potrebbe portare con sé altri problemi.
Nei primi giorni di Threads in Italia, infatti, si è parlato molto di uno degli audio ricevuti da Giorgia Meloni in risposta al suo primo post: un sonoro rutto. La goliardata ha fatto sorridere molti, ma ha anche messo in luce una maggiore difficoltà nel moderare i contenuti audio rispetto a quelli scritti, sollevando diverse polemiche.

Argomenti di conversazione

A differenza di quanto avviene su X e su Instagram, su Threads è possibile inserire un solo hashtag per indicare la tematica del post. Inoltre qui gli hashtag, privati dell’iconico cancelletto che ha caratterizzato X (Twitter) fin dai suoi albori, possono essere costituiti da intere frasi, con tanto di spazi e caratteri speciali. Ricordano, visivamente, i tag di Facebook, e tendono a riferirsi a specifici argomenti di conversazione, spesso legati ad ambiti ben precisi: Bookthreads, ad esempio, accomuna scrittori, editori e appassionati di romanzi.

A livello di tematiche, Threads ricorda un po’ il Facebook delle origini, con gli utenti che tendono a discutere di interessi ed esperienze in comune. Rispetto a X, c’è meno interesse per l’attualità e per le notizie in tempo reale, nonché per i temi sociali e per la politica in generale – lo stesso Adam Mosseri, Head of Instagram, ha dichiarato che Threads non è progettato per dare la priorità a contenuti di questo tipo. Manca, inoltre, la sezione dedicata ai trending topic, gli argomenti di tendenza su cui X basa gran parte del proprio appeal, e diversi utenti si chiedono se sia una piattaforma adatta a commentare eventi in presa diretta. Per certi versi, risulta difficile credere che Threads possa effettivamente sostituire X.

Fra passato e futuro

Ci troviamo in una fase di rodaggio in cui è difficile stabilire con certezza tanto la “morte” di X quanto l’aspettativa di vita di Threads, che qualcuno dà già per morto.
Per il momento, Threads non sembra un’alternativa efficace a X, ma qualcosa di diverso. Un social che, come recita una celebre tradizione nuziale, include qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio e qualcosa di prestato (da X, ma anche da Instagram).

Tornando sul fronte dell’interazione, bisogna specificare che il bacino d’utenza di Threads è ancora limitato e quindi l’algoritmo prende in considerazione, per i contenuti che appaiono nella sezione “Per te”, l’inerenza alle precedenti interazioni dell’utente più che la risonanza che i post stessi hanno ottenuto, quindi capita spesso di vedersi comparire post di illustri sconosciuti, con appena una manciata di like e risposte, che parlano di argomenti che ci interessano, e a cui viene naturale rispondere.
Questo ci riporta indietro nel tempo fino all’epoca del web 2.0, se non addirittura 1.0., quando ad avere internet erano poche persone e quindi, specie all’interno di un ambito specifico, era semplice ritrovarsi a discutere con perfetti sconosciuti. Le gerarchie esistevano, ma non erano rigide e insormontabili: i webmaster dei siti più visitati godevano di un certo prestigio all’interno della loro nicchia, ma non erano celebrità irraggiungibili. Con l’avvento degli influencer su Instagram e TikTok stiamo invece tornando a un modello di comunicazione più vicino a quello che caratterizza la televisione, in cui un personaggio pubblico parla a una folla di spettatori che ascoltano, ma che difficilmente saranno ascoltati a loro volta, se non a livello statistico. Questo avviene anche su X, con gli utenti che spesso e volentieri puntano a farsi notare più che a interagire con gli altri.
E allora un po’ di sana conversazione con una manciata di estranei, con nessun scopo recondito oltre al fatto di parlare di una cosa che ci interessa, non può che costituire una bella boccata d’aria fresca. E poi che succederà? L’utenza aumenterà, e quindi si ripresenteranno le stesse dinamiche che separano influencer e pubblico sugli altri social?
Oppure diminuirà, causando l’effettiva morte della piattaforma?
Quel che è certo è che non ha senso effettuare un’autopsia prima del tempo.

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Real time marketing: come Renault ha risposto a Shakira

30 Gennaio 2023

Il nuovo singolo di Shakira, Music Sessions Vol 53, è diventato virale.
Nel testo, la cantante si scaglia contro l’ex marito, il calciatore Gerard Piqué, e la sua nuova fidanzata, Clara Chia Marti, con un verso in particolare: “Hai scambiato una Ferrari con una Twingo, hai scambiato un Rolex con un Casio“.
Insomma, Shakira associa sé stessa a due brand di lusso (Ferrari, Rolex), ponendoli in contrasto con i due marchi a cui associa la rivale (Twingo, Casio): il paragone ha fatto furore, scatenando l’ironia del web.
Come spesso accade, gli utenti sono stati più veloci dei brand: in pochissimo tempo è nato un account fake di Casio che su Twitter ha pubblicato risposte divenute virali come “Non saremo Rolex, ma i nostri clienti ci sono fedeli” (un riferimento al fatto che Piqué abbia tradito Shakira) e “La batteria dei nostri orologi dura più della relazione di Piqué e Shakira”.

Renault ha adottato un approccio simile sui suoi canali social ufficiali, riconnotando in positivo alcune caratteristiche del proprio prodotto mediante riferimenti diretti al testo della canzone. Se Shakira, rivolgendosi a Piqué, dice di essere sprecata “per tipi come te”, Renault ribatte sostenendo che il modello in questione è invece specificatamente rivolto a “tipi e tipe come te”. Presentando la Twingo come un’automobile per tutti, Renault ne valorizza l’accessibilità in contrasto con il lusso della Ferrari, per molti irraggiungibile, a cui Shakira si accosta. È un concetto curiosamente simile al celeberrimo Think Small della storica campagna di Wolksvagen del 1959, per cui la semplicità diventa un punto di forza.

Pa tipos y tipas como tú. ¡Sube el volumen! #Renault #Twingo #claramente #joven #urbano #eléctrico #ágil #Icónico #compacto #travieso pic.twitter.com/eND207qM3H

— Renault España (@renault_esp) January 12, 2023

La risposta più eclatante è arrivata, a sorpresa, con un’insegna fisica. Fotografato da numerosi passanti, il cartellone pubblicitario – posto nei pressi dello stadio di Barcellona, in cui si allena Piqué – ha presto fatto il giro del web.


Qui troviamo diversi copy che, citando il testo della canzone, mettono in luce i punti di forza della Twingo in contrasto con la relazione fra Shakira e Piqué. ad esempio: “Da 0 a 100 in più tempo di quanto è durato il vostro matrimonio” e “Il nostro motore non ti lascerà mai, il tuo ex marito lo ha già fatto”.

Più sottile la risposta di Renault Colombia (paese Natale della cantante), che su Twitter promette a Shakira di amarla per sempre (sottinteso: a differenza di suo marito).

Twingo te va a querer siempre @shakira
Lo prometemos. #Twingo #Twingo30años https://t.co/y387N5fNWy

— Renault Colombia (@Renault_Co) January 12, 2023

Insomma, da un lato Shakira ha sminuito la Twingo paragonandola alla Ferrari, dall’altro Renault ha posto l’enfasi proprio su ciò che la distingue da un’auto di lusso e ha “studiato” bene il testo della cantante per rispondere con frecciatine altrettanto fulminanti.
Ritrovandosi inaspettatamente al centro di un evento mediatico di ampia portata, Renault ha colto l’occasione per prendere le redini e ribaltare la situazione con ironia e tempestività.

Noi possiamo aiutarti a valorizzare l’identità del tuo brand in ogni occasione. Contattaci!

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La psicologia delle forme nel design del logo

13 Aprile 2022

La psicologia delle forme è la scienza che studia come le figure, geometriche e non, influenzino la percezione di ogni essere umano, attivando diversi stimoli e reazioni. Si tratta di una componente fondamentale nell’advertising: osservando alcuni dei loghi più famosi, scopriremo come le loro forme geometriche riflettano l’immagine e i valori dei rispettivi brand.

Cerchio, ovale, ellissi

Il cerchio è una forma chiusa, senza inizio né fine: la mancanza di angoli trasmette un senso di armonia, unità e completezza. La sua forma, da sempre associata alla natura (sole, luna), rimanda all’immagine atavica della Dea Madre, legandosi al concetto di maternità e quindi di accoglienza, morbidezza e accessibilità.

Il cerchio può essere utilizzato da brand che desiderano apparire amichevoli, puntando ad esempio sulla facilità e immediatezza nell’utilizzo (Google Chrome) o su una quotidianità semplice e rassicurante (Volkswagen).

 

Le forme tondeggianti ispirano un sentimento di tenerezza che può anche rimandare all’infanzia, caratterizzando non solo i pittogrammi, ma anche i font: pensiamo al logo della Walt Disney Pictures.

Non dimentichiamo, infine, che il cerchio è il simbolo dell’infinito e suggerisce quindi un’unione eterna, come quella sigillata dalle fedi nuziali. Pensiamo al logo dei Giochi Olimpici, i cui cerchi simboleggiano l’unità per eccellenza, rappresentando i cinque continenti. Anche Mastercard, Audi e Chanel puntano sul concetto di unione rappresentato dalla sovrapposizione di figure tondeggianti.

Quadrato e rettangolo

Quadrati e rettangoli ispirano un senso di familiarità (gran parte degli oggetti che ci circondano hanno queste forme) e quindi di stabilità, sicurezza, affidabilità.
Case, stanze, cassetti e casseforti presentano queste forme, atte a trasmetterci un senso di robustezza e solidità perché sono i posti in cui custodiamo ciò che abbiamo di più prezioso. Gli angoli e le linee rette di quadrati e rettangoli trasmettono un senso di razionalità, ordine, equilibrio e quindi funzionalità, efficienza, professionalità.

Si tratta di valori incarnati dal logo quadrato di American Express, che punta a ispirare fiducia nei propri clienti, oppure da quello della Rai, radiotelevisione italiana che nel 2010 è passata dalla sagoma astratta di una farfalla (simbolo di fantasia e libertà) ad un più razionale quadrato, assumendo un aspetto più istituzionale in virtù della sua funzione di servizio pubblico, in linea con la britannica BBC.

Restando nell’ambito dell’informazione (non solo televisiva), citiamo infine il logo di National Geographic, una delle maggiori istituzioni scientifiche al mondo, celebre per i suoi documentari: la scelta del rettangolo ispira rigore e affidabilità. Anche il font a bastoni, semplice ed essenziale, comunica un senso di ordine e rispettabilità.

Triangolo

Nell’osservare una forma triangolare, lo sguardo umano si muove in modo naturale dalla base fino allo spigolo. Per questo motivo, il triangolo è considerato un simbolo di dinamicità ed energia. Il fatto che si rivolga in una specifica direzione fa sì che questa forma venga associata alla perseveranza nel raggiungimento dei propri obiettivi.

Per questi motivi, ad adottare loghi triangolari sono spesso brand legati allo sport (Adidas, Nike) e all’alta velocità (Citroën, Mitsubishi).

 
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Filed Under: Creatività, Graphic Design

Rebranding e redesign: cambiare logo consapevolmente

13 Ottobre 2021

Cambiare il logo significa modificare un elemento fondamentale per l’immagine dell’azienda, da cui dipende la riconoscibilità del brand.
Non importa quale sia la motivazione, l’importante è che sia frutto di una scelta ragionata e consapevole.
Scopriamo qualcosa in più sulle ragioni per cui si decide di cambiare logo e prendiamo in analisi alcuni casi di brand famosi.

Rebranding: perché cambiare logo?

Il redesign del logo si lega spesso al concetto di rebranding, per cui un brand sente il bisogno di cambiare immagine come metafora di un cambiamento più profondo all’interno dell’azienda stessa.
Ecco quali sono le motivazioni più frequenti:

Riposizionarsi sul mercato

Quando un brand desidera farsi strada in un nuovo mercato può comunicare la sua intenzione attraverso un redesign del logo.
Un esempio molto semplice: nel 2011 Starbucks ha eliminato dal proprio logo la scritta “Starbucks Coffee” per poter espandere il proprio raggio d’azione oltre la vendita di caffè e bevande analoghe.

Svecchiare la propria immagine

Dato che il minimal invecchia più lentamente, e si adatta più facilmente ai formati digitali, i loghi dei brand tendono a semplificarsi sempre di più, prediligendo linee essenziali e ben riconoscibili ed evitando ombre e tridimensionalità.
Mastercard ha imparato la sua lezione sul campo: il redesign del 2006, troppo confuso ed elaborato, è stato in seguito sostituito con una versione più light.

Rendere più distintivo il brand

Qualora il brand non possegga un’immagine in grado di distinguersi dai competitor, un redesign potrebbe essere la chiave giusta per emergere nel proprio settore.
Ad esempio il logo di Airbnb, pur essendo molto criticato, ha contribuito a rendere più riconoscibile il portale.

Acquisizioni, fusioni o scissioni

In questi casi, un cambio d’immagine sarà spesso obbligato e dovrà combinare al meglio i valori e la storia di tutte le realtà coinvolte. Notiamo ad esempio come la fusione fra Marco Polo Expert e Unieuro abbia influenzato l’attuale logo dell’azienda:

Redesign consapevole

Un redesign può risultare fallimentare quando il nuovo logo, rispetto al precedente, appare scialbo, poco professionale o semplicemente “brutto”, senza bisogno di spiegare perché.
A questo si aggiunge troppo spesso anche la mancanza di una vera e propria strategia che giustifichi tale cambiamento.
In questi casi, effettuare un redesign può risultare non solo superfluo, ma anche dannoso per l’immagine del brand.
Ovviamente non parliamo di un lieve restyling, ma di un cambio radicale: un redesign di questo tipo dovrebbe sempre implicare una profonda riflessione sulla storia, i valori e il credo aziendale, nonché un’analisi della percezione che il pubblico ha del brand in questione.

Celebre il caso della catena di negozi d’abbigliamento Gap, costretta a fare dietrofront nel giro di pochissimi giorni: il loro redesign, effettuato senza alcun tipo di preavviso nel periodo di Natale 2010, viene ricordato come il più fallimentare della storia recente. Ad essere criticato non era solo il font Helvetica (già inflazionato ai tempi) e il passaggio in secondo piano dell’elemento distintivo (la scatola blu), ma anche il fatto che al cambiamento del logo non si accompagnasse un rebranding vero e proprio: in poche parole, l’azienda non stava cambiando insieme alla sua immagine. Il brand era talmente poco sicuro della propria scelta che, di fronte alle critiche, ha invitato altri designer a inviare le loro proposte per il logo, spacciandolo per un progetto di crowdsourcing. Niente di più sbagliato: dietro a un buon redesign deve esserci la fermezza di un brand che, pur ascoltando l’opinione dei suoi clienti, è in grado di giustificare le proprie scelte davanti a loro.

Al contrario, il redesign del logo di Instagram, pur andando incontro alle critiche e prese in giro della rete, si poggiava su basi solide, su una scelta cosciente da parte del brand. Nel 2016, Instagram riteneva che il vecchio logo non rispecchiasse più la community dei suoi utenti: la piattaforma, che all’inizio del decennio era luogo di ritrovo per hipster e amanti del vintage, si stava trasformando in quella che è oggi, con il proliferare di teenager, influencer e celebrità varie. Un cambio era necessario per rappresentare la natura più mainstream e frivola del social network, così il logo è diventato più semplice e colorato. Il redesign si è rivelato essere completamente azzeccato per quello in cui il brand si stava trasformando: chi disprezzava il nuovo logo avrebbe disprezzato anche la piega che la piattaforma stava prendendo, mentre altri utenti l’avrebbero accettata strada facendo, al punto che oggi quasi nessuno ricorda l’enorme polverone che aveva alzato il redesign qualche anno fa. L’attuale logo di Instagram ha completamente sostituito il precedente nell’immaginario collettivo.

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Figure retoriche e linguaggio visivo nell’advertising

6 Ottobre 2021

Quando si fa pubblicità, la prima e più importante regola da imparare è la sintesi.
E quale linguaggio migliore di quello visivo per restituire un concetto astratto e complesso in modo efficace e immediato?
Così l’adv prende in prestito le figure retoriche dalla letteratura per trasferirle sui propri visual: ecco le più utilizzate dalle agenzie creative di tutto il mondo!

Metafora

In questo primo ad, Tampax associa il suo assorbente a un’enorme barriera in grado di arginare una corrente d’acqua, dando vita a una metafora decisamente eloquente!

Agenzia: Leo Burnett

Similitudine

In questo secondo ad, la resistenza del motore di Mitusbishi viene enfatizzata dall’associazione con un rinoceronte: una similitudine azzeccata!

Agenzia: Africa

Iperbole

L’iperbole estremizza un aspetto del prodotto, sfociando spesso nell’assurdo. In quest’ad del dentifricio Formula, i denti del consumatore risultano così forti e resistenti da riuscire a mordere e strappare parte del manifesto stesso.

Agenzia: Ogilvy & Mather

Personificazione

La personificazione attribuisce caratteristiche umane ad animali o oggetti.
In quest’ad, la resistenza della colla Pattex viene associata alla prestanza fisica di un bodybuilder.

Agenzia: DDB Hamburg

Antitesi

L’antitesi consiste nell’accostamento fra due concetti espressi visivamente: il contrasto valorizza una o entrambe le parti.
Decisamente immediato l’ad di Sky per promuovere la visione delle partite di calcio in HD sulla loro piattaforma.

Agenzia: 1861 United

Ellissi

L’ellissi pone l’attenzione sulla mancanza di un elemento fino a quel momento dato per scontato, valorizzandone la presenza o l’assenza nel contesto preso in considerazione.
Sedex adotta questa figura retorica per evidenziare la velocità di consegna del suo servizio di corrieri:

Agenzia: Artplan

Nel secondo ad, una clinica di correzione visiva pone l’attenzione sulla mancanza di binocoli: i loro clienti non ne hanno bisogno!

Agenzia: DM9 JaymeSyfu

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Customer Journey: com’è cambiato nell’era digitale

22 Agosto 2021

Negli ultimi 10 anni, il mondo è profondamente cambiato.
Le trasformazioni tecnologiche hanno rivoluzionato il comportamento dei clienti e il loro rapporto con i brand.
È chiaro, dunque, che bisogna ripensare il customer journey rispetto a come l’abbiamo concepito finora.

Il modello AIDA e le 4 A

Quando si parla di customer journey, uno dei modelli più longevi è l’AIDA, ideato dal pubblicitario Elias St. Elmo Lewis alla fine dell’800.
Il termine viene coniato in quanto acronimo di:

  • Attention
  • Interest
  • Desire
  • Action

Il modello si poneva infatti l’obiettivo di attrarre l’attenzione, stimolare l’interesse, suscitare il desiderio e spingere all’azione.

Successivamente, Derek Rucker ne ha proposto una versione revisionata, quella delle 4 A:

  • Aware
  • Attitude
  • Act
  • Act again

In poche parole, il cliente apprende dell’esistenza del brand (aware), se ne fa un’opinione (attitude), decide se acquistarlo (act) e, se soddisfatto, lo acquista nuovamente (act again).

Un nuovo customer journey, le 5 A

Oggi, come evidenziato dal professor Philip Kotler, il modello lineare delle 4 A richiede un aggiornamento che tenga conto dei principali cambiamenti che l’era digitale ha portato con sé:

  • Un tempo era il singolo cliente che si formava un’opinione su un brand, mentre oggi tale opinione è influenzata dalla comunità presente sul web. Tale dinamica risulta fondamentale anche nella fase di aware, durante la quale i clienti cerca informazioni da chi già conosce il brand e ne ha acquistato il prodotto o servizio.
  • Un tempo la fedeltà in un brand era identificata nell’acquisto ripetuto dello stesso, mentre oggi acquista un nuovo volto, manifestandosi nella disponibilità del cliente a consigliare un prodotto ad altre persone.

Sulla base di tali cambiamenti, appare opportuno adottare un nuovo modello di customer journey, descrivibile attraverso 5 A:

  • Aware
  • Appeal
  • Ask
  • Act
  • Advocate

Vediamole nel dettaglio:

  • Aware (scoperta)
    In questa fase, il cliente è esposto a un’ampia varietà di brand attraverso le sue esperienze passate, la pubblicità e/o il passaparola. Per farsi notare risulta dunque fondamentale trasmettere i valori del proprio marchio, differenziandosi dagli altri.
  • Appeal (attrattiva)
    A questo punto, il cliente è consapevole dell’esistenza del brand: è il momento giusto per sfruttare il “fattore wow”, ossia la capacità di lasciarlo senza parole con qualcosa di sorprendente (che supera le aspettative), personale (innescato solo da chi lo sperimenta) e “contagioso” (che viene raccontato agli altri).
  • Ask (ricerca)
    Il cliente inizia a svolgere ricerche sul brand da cui si sente attratto, ricercando informazioni sul web e/o chiedendo opinioni ad altri utenti, ad amici e familiari: è proprio in questo momento che il suo viaggio si trasforma da percorso individuale a percorso sociale, basato sull’interazione con altri individui e/o con il brand stesso. Per questo motivo è fondamentale, per un marchio, avere una presenza ramificata su tutti i canali, mantenendo una buona reputazione online e offline.
  • Act (azione)
    Il cliente, persuaso dalle informazioni trovate, decide di agire, acquistando il prodotto. Il brand deve assicurarsi che l’esperienza sia positiva e memorabile, in modo che il cliente proceda al successivo “step”, il passaparola.
  • Advocate (passaparola)
    Il momento più alto del percorso non è più solo l’acquisto ripetuto, ma la raccomandazione del prodotto ad altri: un cliente soddisfatto diventa il miglior “testimonial” di un brand. Per far sì che questo avvenga, è necessario “coccolare” il cliente anche – e soprattutto – a seguito dell’acquisto, continuando a riservargli un trattamento speciale.

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