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News dal Web

Google Analytics e il GDPR: quali novità?

22 Ottobre 2018

Google Analytics è un tool alleato delle strategie: un tema di cui non abbiamo mai parlato ma che, proprio per le sue funzionalità a livello di monitoraggio delle visite ai siti web, diventa un compagno a cui non si può (e non si deve) rinunciare. Che vi occupiate di programmazione, di SEO, di copy, o che siate i diretti possessori di un sito web, la visita quotidiana a questo tool Google è necessaria: proprio perché Analytics è da sempre caratterizzato da una costanza nel mantenimento dei suoi parametri e del suo schema, da cui reperire visite uniche, referral, tempi di permanenza e molto altro, fino alla customizzazione dei dati per report ultra-personalizzati. O meglio, così è stato fino ad aprile 2018 quando anche questo sistema ha iniziato a modificare alcuni aspetti, in vista delle famigerate leggi sul GDPR europeo, entrate in vigore lo scorso 25 maggio.

Cosa cambia? Vediamolo insieme!

Il cancellamento mensile dei dati per il GDPR

Non tutti lo sanno: da aprile 2018 è stata resa la cancellazione dei dati e dello storico più vecchi di un mese. Una funzione davvero comoda per venire incontro alle ottempranze del GDPR. Quali dati si potranno cancellare? Tutti quelli legati a un cookie o a un evento. Non saranno, invece, cancellabili, i dati cosiddetti “aggregati”, come possono essere, per esempio, il numero di sessioni, che non potrà essere segmentato o azzerato: infatti, le sorgenti di traffico, se viste per numero di sessioni, dovrebbero essere dati non modificabili, appartenendo a uno storico importante. Come si possono cancellare i dati? Basterà andare su impostazioni > modifica > informazione sul tracking > data retention. Qui, si aprirà una finestra da cui potrete selezionare, da un menù a tendina, una serie di archi temporali mensili. Il default del sistema è impostato su 26 mesi, ma lo potrete cambiare scegliendo tra una delle opzioni. Google, poi, dà un po’ di tempo per modificare la propria scelta, che può essere riformulata o annullata entro 24 ore: dopodiché GA prenderà atto ufficialmente della nuova scelta, memorizzandola.

Piccola nota per i meno esperti. Non stiamo parlando della funzione di default per la quale, se un utente esterno non torna sul sito per 24 mesi, Analytics lo considera nuovo utente – in caso decida di visitare nuovamente la property -: stiamo parlando di una funzione selettiva che ogni utente può scegliere di modificare!

Cos’ha fatto Google per il GDPR?

Google ha intrapreso la strada della semplicità: infatti, la sua Privacy Policy ora viene spiegata anche attraverso un breve video, molto chiaro ed esemplificativo.

Finora, però, abbiamo parlato di cancellazione dei dati: ma che succede se vogliamo esportarli? Google ha infatti aggiornato molte delle opzioni che riguardano l’esportazione dei dati: la compagnia di Mountain View sta infatti creando un sistema open source di data transfer, per scaricare e spostare i dati senza problemi. Questo progetto si chiama Data Transfer Project: un sistema open source, come è nello stile di Google, che rende facile per le persone trasferire i propri dati tra fornitori di servizi online in maniera semplice, grazie a una struttura comune, con modelli e protocolli di dati. Vuoi saperne di più? Visita questo link!

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Filed Under: Internet & New Media, News dal Web, SEO

Google+ chiude: ad agosto 2019 l’addio al social

15 Ottobre 2018

“Sono sempre i migliori che se ne vanno”. O forse no?
Google+, oggi, si ritrova nella stessa situazione in cui si ritrovò LinkedIn, quando nel 2016 in seguito a un attacco rese pubblici i dati di 117 milioni di iscritti, e come Facebook, nell’occhio del ciclone con lo scandalo Cambridge Analytica. La notizia, veicolata in primis dal Wall Street Journal, risale a pochi giorni fa – per la precisione al 7 ottobre – e sostiene che Google+ abbia esposto a rischi i dati di oltre 500.000 utenti privati per oltre 3 anni. La decisione, così, diventa inevitabile per il colosso dei motori di ricerca: il social di Mr. G chiuderà definitivamente i battenti durante la prossima estate.

Il motivo della chiusura di Google+

La motivazione? Sta in un bug: un bug di cui Google+ era già a conoscenza dalla scorsa primavera, ma che ha preferito tacere.
Infatti, proprio nel marzo 2018, mentre Facebook era sotto un controllo globale per via della raccolta di dati personali e a cui seguì lo scandalo Cambridge Analytica, Google ha scoperto uno scheletro, decisamente scomodo, nel suo armadio: un bug nell’API – application programming interface -, che ha dato ampio margine agli sviluppatori di app di terze parti di accedere ai dati non solo degli utenti che avevano concesso il permesso, ma anche a quelli dei loro amici.
Uno scandalo taciuto questo, ma dalla dinamica familiare, poiché riflette – quasi per filo e per segno – ciò che ha portato Mark Zuckerberg davanti al Congresso degli Stati Uniti.
E così, alle 4 del mattino del giorno 10 ottobre 2018, Google stava perdendo il 4,63% sulle sue azioni.

Google+, il social che non ha mai spiccato il volo

Nell’ultimo biennio, Google+ era diventato quasi uno sconosciuto. Dopo il boom del 2011, a seguito del quale sono stati scritti centinaia di libri in tutto il mondo, in molti riponevano le loro speranze di scalata dei motori di ricerca in questo social dall’icona rossa: perché, essendo prodotto Google, le promesse erano proprio quelle di migliorare il posizionamento e il ranking di articoli e siti.
Ma c’è stato un tempo in cui Google+ rappresentava un club esclusivo, con milioni di utenti Internet che chiedevano a gran voce di entrare. Proprio nel 2011, Google invitava privatamente i suoi iscritti Gmail ad accedere a questo nuovo social dalle grandi prestazioni: e così, solo nel 2014, Google+ contava oltre 2.800.000 iscritti, fornendo loro hangouts, webcam e possibilità di scambio file. Ma poi, Google, ha scoperto che socializzare online era più difficile di quanto sembrasse: e così, nei giorni scorsi, il gigante della Silicon Valley ha dichiarato che “nell’arco dei prossimi 10 mesi il social chiuderà. Il completamento è previsto per la fine di agosto 2019. Nei prossimi mesi, verranno fornite ai vecchi utenti informazioni aggiuntive sulle modalità in cui si possono scaricare e migrare i propri dati“.  E quello sarà un giorno triste, soprattutto per tutti quei SEO specialist che per anni hanno creduto in lui.

Una mossa, questa della chiusura di Google+, che mette in evidenza quella che è la sfida per tutti gli altri player del mondo social di competere con Facebook, la piattaforma social di maggior successo al mondo dalle continue implementazioni.

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GDPR: il nuovo regolamento privacy europeo al debutto

15 Marzo 2018

GDPR: una sigla con cui dovremo prendere confidenza. Si tratta, infatti, di un acronimo che sta a indicare “General Data Protection Regulation 2016/679”, normativa che diventerà definitivamente applicabile in tutti gli Stati dell’Unione europea, start up comprese.

Il Regolamento Privacy europeo GDPR sarà in vigore a breve, dal 25 maggio 2018: vediamo innanzitutto in cosa consiste e perché è nato. In poche parole, il GDPR riguarda alcune funzioni principali, come:

  • esplicitare il consenso nei moduli di contatto a tutti i servizi a cui l’utente presta il consenso all’utilizzo dei suoi dati. Per esempio: se con l’invio di una richiesta informazioni viene inserito nella newsletter, va detto e va inserita una spunta dedicata;
  • il banner per il blocco dei cookie, che viene mantenuto, ma che dovrà essere presente sui siti web di tutte le aziende, agenzie, imprese e organizzazioni;
  • la privacy cookie policy rimane invariata: nessun cambiamento;
  • il titolare del trattamento dovrà dare prova di avere il consenso per utilizzare i dati dei clienti.

A garantire tutto questo, viene nominata una figura particolare: il Data Protection Officer, una persona fisica che costituisce il punto di contatto per la gestione delle problematiche legate alla data protection, all’interno di un’azienda, di un’agenzia o in un’organizzazione.

Cosa comporta il nuovo Regolamento Privacy europeo GDPR?

Il Regolamento Privacy europeo GDPR non è un nemico che parla burocratese, ma un insieme di regole unitarie, amiche delle diverse tipologie di business, per incentivare l’integrazione del Digital Single Market, il mercato unico europeo dove viene garantita la libera movimentazione di beni, servizi, capitali e persone. Il GDPR prevede un’applicazione diretta in tutti gli Stati membri dell’Unione, permettendo di creare un unico regime di protezione dei dati per tutto il territorio dell’UE. Protagonista del Regolamento Privacy europeo GDPR è il consenso: prima era libero, specifico, e sempre revocabile, anche nel caso fosse per iscritto; mentre ora è sempre revocabile, ma inequivocabile. Il titolare, infatti, deve essere in grado di dimostrare di aver ottenuto il consenso dell’interessato secondo i requisiti della legge.

Per questo verrà creata la “prova del consenso”:

Come abbiamo appena detto, il titolare deve essere in grado di dimostrare che ha acquisito il consenso dell’utente in una modalità valida. In particolare, però, dovrà dimostrare:

  • chi ha prestato il consenso;
  • quando è stato prestato il consenso;
  • come è stato richiesto questo consenso;
  • a quali documenti l’utente ha prestato il proprio consenso, oltre ai documenti di privacy e cookie policy che deve aver accettato.

La “portabilità del dato”

Si tratta di una tutela per chi ha sottoscritto il consenso: i dati devono essere comunicati al titolare in formato elettronico, leggibile e soprattutto riutilizzabile per poterli conservare o per trasferirli a un altro titolare.
Questo diritto alla portabilità del dato, che è una facilitazione, riguarda solo:

  • i dati trattati con strumenti automatizzati;
  • i dati il cui trattamento di basa sul consenso dell’interessato o su un contratto;
  • i dati trasmessi direttamente dall’interessato: non sono più validi, quindi i dati derivati o i metadata.

Il “diritto all’oblio”: cosa significa?

Altro punto fondamentale di queste nuove normative riguardano il diritto all’oblio. Gli interessati hanno infatti diritto di richiedere la cancellazione dei dati che li riguardano salvo:

  • quando entra in gioco il diritto alla libertà di espressione e informazione;
  • per la difesa in sede giudiziaria.

Conosci la tua azienda?

Una domanda molto importante, questa: il GDPR prevede un forte cambiamento in quella che è la responsabilità del titolare del trattamento, che deve compilare un registro delle attività di trattamento, documento in cui il titolare tiene traccia dei dati relativi a dipendenti, fornitori, partner e soprattutto clienti, indicando e finalità del trattamento: un obbligo, quello del registro, per le imprese con più di 250 dipendenti, ma che può rappresentare anche per le piccole realtà una risorsa di gestione più efficace e ordinata della sicurezza dei dati.
Il GDPR mette qualunque persona nella condizione di controllare consapevolmente i propri dati, garantendo il diritto all’informazione, all’accesso, alla rettifica e alla cancellazione dei dati, il diritto alla limitazione del trattamento e il diritto di opposizione: il cambiamento ormai, è in atto anche qui in Siks ADV. Speriamo di esserti stati utili con questa piccola guida!

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Sei pronto per il Mobilegeddon?

21 Aprile 2015

È arrivato il giorno che molti aspettavano da tempo. Oggi è il 21 Aprile. Da oggi avere un sito mobile-friendly è fattore di posizionamento.

Cosa significa in parole povere? Che i siti web che non sono responsive e che non hanno neanche una versione per smartphone perderanno posizioni nella ricerca. Questo cambiamento è legato alla ricerca da mobile, ma sono abbastanza certa che questi cambiamenti avranno un peso anche nella ricerca da desktop e da tablet. Di questa ultima novità avevamo parlato nel nostro ultimo post, ma il nostro prima post sull’importanza di un design mobile è del 2013. Già all’epoca Matt Cutts, capo dipartimento del Webspam team di Google, disse che era ora di pensare al design mobile. In questi anni ci sono stati diversi avvertimenti da parte di Google sull’argomento.

Pensare ad avere un design mobile-friendly (meglio ancora responsive) solo perché “lo dice Google” però dimostra una mentalità sbagliata. Il motivo per cui è necessario avere un sito che si legga bene anche da smartphone sono prima di tutto gli utenti. Uno studio di Audiweb aggiornato a Dicembre 2014 afferma che gli italiani che accedono ad internet da dispositivi mobile sono 17,3 milioni, quelli che accedono da computer sono invece 12,5. Sono dati che hanno un certo peso, siamo uno dei paesi che ha il più alto numero di possessori di smartphone, eppure in Italia sono troppi  i siti web che non sono pronti per il mobilegeddon.
E dire che è molto semplice

  • chi non ha un sito mobile-friendly sta già perdendo potenziali clienti, tutti quelli che navigano da smartphone
  • chi non ha un sito mobile-friendly sta già perdendo il suo posizionamento (utenti che entrano ed escono da un sito? Fattore che influisce il posizionamento. Tempo medio sul sito? Fattore che influisce sul posizionamento)

A questo punto quindi non ci sono più scuse. Ci vogliono siti adatti alla navigazione da smartphone. Te l’abbiamo detto più volte. Te lo chiedono i tuoi utenti. Te lo sta dicendo Google.

E tu? Sei pronto per il Mobilegeddon? Contattaci per il restyle responsive del tuo sito.

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Video sul Web – Facebook vs Youtube

3 Febbraio 2015

Non vi è dubbio alcuno che i video sul web siano una risorsa molto importante per il web-marketing: i video coinvolgono. A questo punto resta da capire qual è il posto migliore per caricare i propri video. Cosa funziona meglio, Facebook e Youtube? E Vimeo dove si colloca in tutto questo? Parliamone un attimo.

Secondo un recente studio di SocialBakers Facebook, nella guerra tra player video, è quello che esce vittorioso. Il sorpasso di Facebook su Youtube c’è stato già a Novembre, ma è stato il mese di Dicembre ad aver davvero visto il trionfo di Facebook

In questo grafico ci sono alcune cose da considerare. La domanda da farsi è la seguente: perché i brand preferiscono caricare video su Facebook invece su Youtube? Come sappiamo Facebook ha un problema con la reach dei post delle pagine, i video però sono i contenuti che, secondo la nostra esperienza (e non solo), maggiormente raggiungono l’utente. Non stupisce quindi che le pagine, per raggiungere gli utenti con il loro messaggio, si affidino ai video. Che per altro funzionano molto bene con le inserzioni a pagamento.

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Google e i problemi di usabilità sui dispositivi mobile

22 Gennaio 2015

Più di una volta abbiamo sottolineato l’importanza di avere un sito mobile-friendly. D’altra parte sono passati quasi otto anni dalla presentazione del primo iPhone ed è difficile ormai immaginare una vita senza smartphone. Ma non siamo solo noi a dire che avere un sito responsive (o quanto meno mobile-friendly) è d’obbligo. Adesso è Google a spingere il cambiamento. Non è esattamente una novità. Già due anni fa Matt Cutts diceva che era ora di pensare al mobile ed è da tempo che nelle lingue guida di Google si parla di siti responsive. Adesso Google si è fatto più insistente e sta mandando messaggi, tramite Webmaster Tools, ai chi non ha una versione mobile del proprio sito, spiegando loro come risolvere il problema.

Questa mossa di Google non deve stupire. Ciò che interessa al motore di ricerca è la soddisfazione dei suoi utenti. Un sito non navigabile da mobile crea un problema per il visitatore che naviga da Smartphone e questo è un problema per Google. È per questo che la SEO è sempre più User Experience ed è per questo che c’è da stare attenti ad eventuali penalizzazioni. Adesso Google sta già segnalando, a chi naviga da smartphone, quali sono i siti web mobile-friendly, ma in futuro chissà… potrebbe direttamente non mostrare i siti non-mobile. È una prospettiva probabile. Vale la pena correre il rischio? Non conviene fare un restyling al tuo sito?

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